La medusa, il gigante ed il mago, l’uomo vivo, il palombaro, il Minotauro, il soldato romano sono tutti presenti nel “Solo show” di Capossela. Non sono presenti soltanto nelle canzoni, ma anche e soprattutto fisicamente grazie alle tante trasformazioni dello stesso artista e ai figuranti che si porta dietro in questo tour. Come sempre Capossela è in grado di stupire, divertire, far pensare e far vivere al suo pubblico momenti di intensa malinconia, il tutto in circa due ore e mezza di spettacolo, incorniciato anche dalle sue numerose battute. È un grande animale da palcoscenico, sicuramente il migliore in Italia e sul palco ci sta benissimo, riuscendo a comunicare, interagire con il suo pubblico. Il “Solo show” lo ha diviso in due parti: una prima nella quale propone ben dieci pezzi dell’ultimo lavoro ed una seconda con i brani precedenti. Lo spettacolo viene aperto da un saltimbanco sui trampoli che dall’ingresso del teatro entra annunciando con un megafono l’inizio, quindi si apre il sipario e la sola scenografia preannuncia il divertimento. In alto, infatti, c’è la scritta da luna park “Solo show” e dietro ai musicisti delle grandi carte da gioco con una grafica circense, nelle quali sono raffigurati diversi personaggi tra cui l’uomo vivo e la medusa. Capossela parte con “Il gigante e il mago”, che coinvolge subito il pubblico, e al termine del brano entrano in scena un mago ed un gigante che solleva lo stesso mattatore, quindi si lascia andare ad una “In clandestinità” più veloce, ma anche più morbida e anticipa “Una giornata perfetta” augurando che serva a scacciare la crisi. Per “Il paradiso dei calzini” si siede ad un pianoforte giocattolo e va avanti fino a “Non c’è disaccordo nel cielo”, passando per la struggente “Orfani ora”, “Vetri appannati d’America”, introdotta da una frase con metafore, da cui traspare la speranza riposta in Obama e dall’angoscia perché in Italia abbiamo Berlusconi. L’intervallo dura quindici minuti, allietati da un mago. Prima di passare in rassegna i brani della seconda parte c’è da considerare che in Capossela è rimasta molto forte l’impronta della musica statunitense e messicana, evidentemente l’incontro con i Calexico è stato il risultato finale di una sua ricerca. Gli arrangiamenti mariachi, infatti, erano ben presenti ne “L’uomo vivo” e in “Ultimo amore”, mentre alla conclusiva “All’una e trentacinque circa” ha riservato un arrangiamento folk Usa di un secolo fa, con lui seduto all’organo ed i musicisti, tutti eccellenti, attorno a lui, con strumenti acustici. Torniamo all’inizio della seconda parte che inizia con la costruzione di una gabbia al centro del palco (da dove canterà molti brani o dove ci rinchiuderà la medusa per “Medusa cha cha cha”), cantando una scoppiettante “Bardamù” in medley con “Polka di Varsavia”, quindi si lascia andare ad un tango in accelerazione in “Con una rosa” e goffamente prova a fare attività fisica, mentre in gabbia canta in russo “Ginnastica” di Vladimir Vysotskij. Peccato che non si ricordi le parole di “Dove siamo rimasti a terra Nutless” e quindi si lascia andare ad una serie di battute, mentre per “Che cos’è l’amor” sceglie un arrangiamento rockeggiante, rende poi molto festaiola “Canzone a manovella”. Di momenti divertenti ce ne sono stati tantissimi, ma quello più curioso è quando ha cantato “L’uomo vivo”, nella quale aveva appeso al collo uno scheletro e indossava una giacca con il volto di un Cristo in croce, raffigurato sulla schiena. Inoltre, durante questo brano, ha fatto appendere a testa in giù e legare con una camicia di forza un figurante, che durante la canzone si è liberato, mentre altri tre fingevano di picchiarlo con dei bastoni. Il gran finale è stato dedicato al ritornello de “Il gigante e il mago”, giusto per lasciare al pubblico la voglia di tornare bambini e sognare.
Autore: Vittorio Lannutti
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