A meno di sei mesi di distanza dall’ultimo live a Roma, i Paddingtons sono tornati. Questa volta sul palco del Rashomon club, questa volta cresciuti di un album. A giudicare dai ragazzi che si accalcavano all’ingresso, già a partire dalle dieci, si sarebbe detto che la band di Hull non ha funzionato tanto come icona musicale, quanto di stile: anche una volta entrati al Rashomon si potevano individuare frammenti di Swinging London da un angolo all’altro, mentre lo ska-punk dei romani San la Muerte riscaldava l’attesa per gli headliners.
Saranno rimasti delusi i fan dell’indie dell’ultim’ora, quelli che sul palco avrebbero visto volentieri bandiere d’Albione, cappellini alla Doherty, scarpette lucide a punta e una band che sembrava solo la versione un po’ più incazzata dei Babyshambles di Fuck Forever. Questo è quello che hanno voluto farci credere. Per fortuna è stato l’esatto contrario: le aspettative disattese, in questi casi sono il regalo più bello. A mezzanotte e mezza passata i Paddingtons sono sul palco, a tratti investiti dalle prime file di indie-punkers (o solo fan molto affiatati) che non conoscono mezze misure al delirio già dalla traccia di apertura, Punk R.I.P. . Così si entra da subito nel vivo del concerto, che non lascia speranze di riprendere fiato, quando Tom attacca con i primi versi di 50 to a £ e poi ancora, senza respiro, trascina la voce sulle note di Stand Down, che mantiene alta la sua reputazione di singolo d’avanguardia del nuovo album. La scaletta continua in un susseguirsi veloce di canzoni dal primo album, First comes First, e da No Mundane Options, l’ultimo: dal basso serrato di Plastic men e le linee vocali che creavano un’atmosfera molto più vicina ad una festa punk californiana che ad una gita sul Tamigi, si passa attraverso i ritmi più pacati di Molotov Cocktail, ci si riprende con un sorso di alcol e ci si prepara all’esplosione finale: What’s the point in anything new, Holiday song e Panic Attack sono le canzoni che chiudono il concerto e mettono in scena una vera e propria battaglia. Le aste dei microfoni sembrano prendere vita propria, gli amplificatori non stanno più in piedi, il tecnico di turno diventa parte dello spettacolo nel suo vorticoso tentativo di riportare equilibrio. Su Panic attack Josh Hubbard e Martin Hines, si stringono vicini mentre suonano le loro chitarre. Martin appoggia la testa sulla spalla di Josh in una citazione affettiva che riporta nel cuore dei più nostalgici i ricordi di quella coppia perfetta che erano i Doherty-Barat. Una citazione che accontenta a malapena quelli che sul palco del Rashomon avrebbero voluto vedere i Paddingtons del video di First comes First o di What’s the point, i Paddingtons del mainstream dell’anti-mainstream. La verità è che la sera del loro concerto al Rashomon di Roma, i Paddingtons hanno stracciato i vestiti nuovi della domenica e hanno provato a fare uscire un po’ di punk dai loro strumenti. Finalmente. Più incazzati e più sporchi, più maleducati e meno principini inglesi: sarà per la recente stroncatura che l’NME ha fatto di No Mundane Options, ma se questo è il risultato, ci auguriamo che stroncature di questo tipo avvengano più spesso. Il punk non è morto.
Autore: Olga Campofreda
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