Nato come festa di protesta al regime di Milosevic, organizzata da alcuni studenti universitari del posto e con una line-up tutta autoctona che si alternava giorno e notte sulle rive del Danubio, l’Exit festival giunge nel 2008 alla sua nona edizione, forte del titolo di “best festival in the continent”, secondo quanto deciso dagli utenti anglosassoni (che quest’anno hanno rappresentato la comunità straniera più rappresentata tra il pubblico del festival, grazie anche alla BBC, presente nello staff organizzativo). Davvero esigua, invece, la presenza italiana. La prima giornata del festival è tutta dedicata ai beat (p)ossessivi e se(n)ssuali di uno dei più famosi producer black americani, Pharell Williams e dei suoi N.E.R.D. che presentano l’ultimo lavoro in studio intitolato “Seeing Sounds”. Se però la tenuta del palco, la presenza scenica e l’impatto visivo sono degni del nome che si è costruito il collettivo nel corso dell’ultimo decennio, lo stesso non si può dire della loro musica. Non basta infatti una formazione completata da musicisti di spessore di impostazione jazz a dare forza ai nuovi brani, compreso il singolo “Everyone Nose” (un mix di beat martellanti, l’immancabile strofa per piano e voce ed un’infinità di ragazze bellissime), che si presentano poco efficaci, ripetitivi e molto confusionari. Ed è proprio con la confusione che il nostro paladino cerca di mascherare le numerose lacune viste e ascoltate durante il concerto, prima chiamando sul palco una ventina di scatenate “backstage girls” direttamente dalle prime file, poi chiudendo il concerto con cori e gorgheggi richiamanti le loro radici intellettuali (“i wanna fuck tonight”, “move your fuckin’ bodies” e l’immancabile storpiatura di italica memoria del pezzo dei White Stripes “Seven Nation Army”). Finito il concerto, c’è giusto il tempo di apprezzare il mix di rap, garage ed elettronica di Mike Skinner aka The Streets e il gipsy punk della formazione moldava degli Zdob si Zdub che inizia la lenta processione verso la dance arena (una suggestiva location all’interno di un ampio spazio circondato da prati, colline e resti medioevali, affacciata sul Danubio) per onorare il messia della tecnohouse, Mr. Sven Vath. Si capisce subito che è lui la vera star della serata, il motivo di tanto affollamento, di tanta “electricità” nell’aria. Il suo set di tre ore è una summa dell’evoluzione della musica dance negli ultimi vent’anni. Il suo sound annichilisce la danzante marea umana che affolla tutti gli spazi disponibili facendo tremare le imponenti misure di sicurezza previste per il festival. Gli darà il cambio, al sorgere dell’alba, un altro vate della musica house, Francois Kevorkian, che farà ballare per altre due ore il numeroso pubblico ancora presente. Il secondo giorno vede alternarsi sul main stage The Gossip, Paul Welller e , soprattutto, i Primal Scream, con un live set impeccabile per attitudine, presenza scenica e perizia tecnica. Portabandiera dell’acid-rock in salsa britannica, i Primal Scream hanno poi virato verso un peculiare mix di rock, techno e dance, cavalcando prima l’era della darkwave, poi del revival psichedelico degli shoegazer e approdando infine all’era della “chemical generation”. Saranno due ore al fulmicotone, equamente suddivise tra una prima parte più “rock” e una seconda dove la loro anima electro prevarrà su tutto, annichilendo i numerosi spettatori presenti. Rispetto all’ultimo album in studio, “Riot City Blues” di due anni fa, si presentano senza Richard Youngs alla chitarra e con un nuovo contratto: lasciata la Sony sono passati alla giovane e indipendente B-Unique. Anche il terzo giorno dell’Exit festival prosegue sulla stessa falsariga filosofica degli altri. Tanti nomi pescati dal panorama underground da scoprire e artisti di calibro e fama internazionale. L’affluenza di pubblico è superiore ai giorni precedenti e la sensazione che questa manifestazione sia atipica nel panorama europeo è netta. La scaletta giornaliera è sicuramente meno attraente rispetto ai due giorni passati e a quello successivo ma poco importa. Migliaia di giovani affollano per tutto il giorno l’area circostante la roccaforte, aspettando i primi concerti serali. E’ immediatamente percettibile la rilassatezza dei giovani serbi che per quattro giorni l’anno dimenticano il passato recente, godendosi l’atmosfera “europea” che l’Exit sa offrire: una buona occasione per confrontarsi e conoscere persone di altre nazionalità e culture. Esposizioni, punti di ristoro, giovani festanti, musica e il fantastico panorama della fortezza di Novi Sad fanno da sfondo a questa “parentesi” pre-concerto che è forse il vero cardine dell’Exit. Dalle 19 si parte con varie formazioni di fama minore, dislocate nei numerosi stages. Jamaican Jukebox, Kalderash Sound System e Easter Parade gli artisti maggiormente conosciuti. Positiva ed interessante la scelta di rendere l’inizio di ogni giorno un pellegrinaggio alla ricerca di artisti interessanti e performance più intime e rilassate. E proprio questo terzo giorno di festival sembra quello più adatto a questo tipo di approccio. La mancanza di nomi di spicco o di novità particolarmente interessanti hanno dato la possibilità di apprezzare il dj set di Kruder & Dorfmeister, padroni per una notte della “Dance Arena”. Famosi per la incredibile perizia nei remix, il duo austriaco ha fatto ballare migliaia di ragazzi con un dj set preciso e professionale, in perfetta sintonia con lo stile del festival. Di maggior interesse gli headliners della giornata. Si parte con i Gogol Bordello ai quali bisogna dare il merito di non risparmiarsi mai. Carenti dal punto di vista prettamente tecnico e musicale hanno incentrato il loro show, come sempre, su una carica energetica non indifferente e sulla classica “caciara” balcanica. I serbi, pur avendo una cultura di genere più profonda e veritiera, hanno apprezzato la verve degli americani di origini est-europee partecipando con foga ed allegria. Segue Juliette And The Licks e il discorso è molto simile. Musicalmente poco interessanti ed autori di un rock&roll radiofonico di stampo americano hanno riscosso consensi grazie al carisma dell’attrice/cantante Juliette Lewis e della sua band di “bellocci”. Alla mezzanotte arriva il momento di Manu Chao e della sua band, onnipresente ed immancabile nella tappa di Novi Sad, all’ interno del loro lungo e apprezzato tour estivo nei Balcani. Delle performance dell’artista basco c’è poco da dire. Ormai fenomeno di massa e capace di attirare migliaia di persone ad ogni concerto, Manu Chao ha sfornato il solito live e per chi ha avuto la possibilità di seguirlo più di una volta, sicuramente, si chiederà quale sia il segreto della sua costanza. Sempre apprezzabile ma altrettanto scontato. Fortuna che la chiusura della giornata è affidata allo storico Afrika Bambaataa. “The Grandfather”, nomignolo datogli per essere stato tra i principale precursori della break-beat e padrino dell’hip hop, ha suonato in compagnia di vocalist, strumentisti e ballerini di ogni genere, dando vita a uno show in pienissimo stile americano. Forse ci si aspettava una accoglienza maggiore da parte del pubblico ma è anche probabile che da queste parti non sia estremamente conosciuto. Fortuna che la foltissima schiera di cittadini britannici presenti hanno presenziato e ballato per tutta la durata dello show, compatto quanto di importanza storica sempre in bilico tra hip hop, funky anni 70-80 e breakbeat. In conclusione, l’impressione generale di questa nona edizione del festival è stata decisamente positiva, L’esame, sotto tutti i punti di vista (organizzazione perfetta, una suggestiva location che forse nessun festival in Europa può permettersi, clima generale amichevole e rilassato, cordialità e disponibilità della popolazione locale, prezzi bassi rispetto agli standard occidentali e buonissima affluenza di pubblico anche straniero), può dirsi superato a pieni voti. L’idea è quella di un festival “europeizzato” ma sempre attento a promuovere realtà musicali “minori”, senza disdegnare nomi di richiamo e non trascurando il fattore intrattenimento con la presenza massiccia dei migliori djs del panorama mondiale. Non mancano le note stonate, però. La discrepanza tra la volontà di adeguarsi agli standards europei in tutto e per tutto e il retaggio poliziesco del recente memoria è enorme. La presenza di controlli e polizia è risultata spropositata sia nell’atteggiamento che nel dispiegamento numerico. Uno stato di polizia all’interno e all’esterno del concerto con controlli di tutti i generi, cattive maniere e presenza diffusa di “borghesi” hanno intaccato non poco l’atmosfera generale e l’area di festa. E’ giusto (?!?) contrastare il diffuso uso di droghe che nelle ultime edizioni è stato registrato ma con modalità adatte e contestualizzate. Altra nota stonata, questa volta per il pubblico serbo e, più in generale, esteuropeo, è stato il livellamento (verso l’alto) tra il prezzo dei biglietti per gli stranieri e quello per i locali, nonostante le enormi differenze di costo della vita. Tragico, invece, è stato l’episodio della morte di una giovane ragazza serba, travolta dalla caduta di un albero per il forte vento all’interno del campeggio ufficiale, l’ultima notte del festival. Come sempre accade in questi casi le responsabilità sono ancora in bilico tra gli organizzatori e le autorità comunali.
Autore: Andrea Belfiore & Giuseppe Ivan Candela
exitfest.org