I Muse tornano in Italia, ed è un trionfo. Non solo di sold out (per Roma, Bologna e Milano non c’erano più biglietti disponibili) ma anche di partecipazione e di resa. Da questo punto di vista, i Muse sono una band trasformata rispetto a quando si videro per la prima volta nel nostro paese al Neapolis Festival qualche anno fa, durante il tour del loro secondo album Origin of Symmetry.
Allora, un palco minimale, una struttura musicale ridotta all’osso, in pratica solo i tre membri del gruppo (Matthew Bellamy alla voce e chitarra, Dominic Howard alla batteria, Christopher Wolstenholme al basso) con i loro rispettivi strumenti; oggi, un palco enorme, dove svetta una struttura costituita da due prismi sovrapposti, che si aprono in uno sfolgorio di luce per rivelare la batteria (il primo grande effetto speciale della serata), una strumentazione più completa, per la quale i Muse si avvalgono anche di collaboratori esterni alle tastiere e alla tromba (ma un piano bianchissimo ed elegante svetta su tutti per lasciare a Bellamy lo spazio adeguato per i pezzi “voce e tastiera”). E poi, soprattutto, un maxischermo che proietta incessantemente immagini, luci, colori, schock di ogni tipo: il richiamo allo ZooTv è immediato, e neppure troppo implicito.
Lo sfavillio di luci e musica va avanti sin dall’inizio, con Take a Bow, che inaugura il concerto come pure l’ultimo album, Black Holes and Revelations, da cui il tour omonimo: si procede con la stupenda Map of the Problematique, poi Butterflies and Hurricanes da Origin of Symmetry, e poi il singolo di lancio del nuovo lavoro dei Muse, Supermassive Black Hole, un falsetto pop alla Prince accompagnato però da una chitarra distorta e durissima. I Muse continuano ad alternare vecchio e nuovo, da New Born, a City of Delusion, fino al trionfo con Starlight, il pezzo trainante del nuovo disco, seguito da un classico come Bliss, e poi Feeling Good, per ritornare poi al nuovo repertorio con una sorprendente Invincible, per la quale Bellamy chiede i telefonini accesi, e poi fa alzare centinaia di palloncini bianchi che mandano in delirio il pubblico di giovanissimi.
A questo punto, la parte micidiale del tour: in successione Time is Running out, Plug in Baby, e al momento del bis, Sunburn, Hysteria, e per finire una sorprendente Stockholm Syndrome, tiratissima, quasi violenta, dove i Muse rivelano, se ce ne fosse bisogno a questo punto, la preparazione musicale classica, quasi da conservatorio.
C’è ancora tempo per un secondo bis costituito da Knights of Cydonia, con la quale i Muse salutano il pubblico più che soddisfatto. Ed è una grossa soddisfazione anche per loro aver conquistato il difficile pubblico italiano, non facilmente adattabile a musica alternative rock come questa, a tratti ipermetal, a tratti psichedelia elettronica, a tratti pop commerciale dei più facili. I Muse sono tutto questo, unito a una grande dotazione personale di tecnica: questo concerto ha permesso loro di metterla a punto, e ora si candidano a buon diritto a migliore rock band del pianeta per gli anni a venire.
Autore: Francesco Postiglione
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