A sette mesi di distanza dal concerto a Officina99, il c.s.o.a. TerraTerra di Soccavo ripete la formula di uno dei migliori live visti a Napoli nel corso del 2006. Oggi come allora tocca al duo nostrano dei Mesmerico aprire la serata – e sarebbe ora che i ragazzi incidessero perché la stoffa c’è ed è di gran pregio – con un set compresso e impeccabile giocato su vertiginosi stop-and-go chitarra-batteria, tra noise e propaggini hardcore. Poi è la volta degli Enfance Rouge: sul palco prendono posto François Cambuzat alla chitarra, la sua compagna Chiara Locardi al basso e Jacopo Andreini alla batteria, prodigioso polistrumentista ormai stabilmente in formazione. Si apre con il binomio Iparalde/Palais Bourbon e subito il clima si fa rovente tra sincopi, implosioni ed esplosioni e la voce roca e urlata di François che declina con lucidità spiazzante, da buon anarchico praticante, crimini ed efferatezze della società occidentale. Il basso di Chiara trova incastri talvolta nella ritmica deragliata della chitarra, talaltra nelle forme percussive e primitive del drumming profondo di Jacopo. Sfila, in prevalenza, un repertorio tratto dall’ultimo (capo)lavoro Krsko-Valencia (2005, Wallace) e, mentre colate di sudore cadono sul palco, i musicisti si scambiano sorrisi e occhiate a conferma di un’intesa esecutiva e scenica perfetta. Si passa per il cabaret-noir di Davos bei nacht, a Gaio e giallo, da spedire in busta chiusa al Vaticano, e alle stratificazioni di Pantocrator, un pezzo che pesa in parti uguali in François lo chansonnier malato e lo sperimentatore d’avant-garde. Poi è la volta dell’intensa Hurricane Lily, in cui la voce atonale di Chiara scende in apnea dentro al mistero, avvolta nelle nebbie strumentali da cui affiorano voci di un mondo (arabo) lontane e piene di dolore. Nel finale qualcuno grida “Kick out the jams!” e François non gli lascia finire la frase che è già partito l’amato ballo di gruppo. Non ce ne voglia Thurston Moore – che pure ha speso parole di elogio per gli Enfance Rouge – ma mentre la creatività dei Sonic Youth si è cristallizzata in un cliché, questo trio senza patria né pace invecchia come il vino buono e, detto per inciso, nelle varie reincarnazioni, dai Kim Squad in avanti, sono passati quasi vent’anni. Forse è una questione di motivazioni, non solo artistiche ma esistenziali e l’esistenza degli Enfance Rouge, come la loro arte, è dura e pericolosa.
Autore: Fabio Astore
www.enfancerouge.org