Preso atto che l’inverno si avvicina sempre più, avvertivo la necessità di un sano e corroborante concerto rock & roll (ammesso e non concesso che tale espressione abbia ancora un senso al giorno d’oggi) che mi scaldasse l’anima e il cuore (“Deep Down Inside I’ve Got A Rock & Roll Heart” dal vangelo secondo Lou Reed). Basta davvero con laptomani emozionanti come lo sguardo da pesce lesso di una Valeria Marini qualsiasi o con indie-rockers onanisti sui loro martoriati strumenti e godibili al pari di una martellata sui testicoli.
Così, mio malgrado, scartata l’ipotesi che un siffatto evento si potesse tenere in quel di Napoli (ah, quanto vorrei essere smentito…) ho dovuto, per forza di cose, rivolgere il mio sguardo altrove. Scorgendo la lista dei live in giro per lo stivale, l’occhio mi è caduto sull’esibizione dei Fleshtones in quel di Roma. Cazzo i Fleshtones!!! Negli ultimi anni, forse uno dei gruppi che ho ascoltato di più. Un poco come i Ramones dei bei tempi che furono, la band statunitense è una di quelle formazioni che agisce in un ambito alquanto delimitato, il garage-rock nel loro caso, eppure lo fa con una tale verve che è quasi impossibile rimanere insensibili davanti a cotanta voglia di divertimento. Prova ne sia che anche l’ultimo album, “Beachhead“, datato 2005, pur muovendosi su coordinate musicali ormai consolidate è risultato lo stesso assai godibile. Facendo faville già su disco chissà come saranno dal vivo, data la loro ultra ventennale esperienza….
Mercoledì 25 Ottobre, eccomi quindi fuori il Circolo Degli Amici a chiacchierare amabilmente con degli amici in attesa che il quartetto dia inizio al suo show. Dato che stasera si gioca un turno infrasettimanale della serie A calcistica, l’attesa si protrae ancor di più ma non importa… Ad un certo punto, ecco che fuori il locale si ferma un furgone. Ovviamente è il tour bus dei quattro cavalieri dell’apocalisse. Gesù, però, Peter Zaremba (il cantante della band, ndr.) col suo maglioncino da impiegato “de ‘noiantri” sembra leggermente fuori luogo, vuoi vedere che mi si sono imborghesiti anche i Fleshtones? Manco per il cazzo!!! Appena i nostri prendono possesso del palco, la loro insita energia si materializza. Qualche piccolo problema tecnico e la non massiccia presenza di pubblico comportano che ci vogliano almeno un paio di brani prima che si crei il giusto feeling. Dopodiché la festa ha inizio…. Zaremba finalmente indossa una camicia lamè molto più in tema con la serata. Keith Streng macina riffs che è un piacere. Bill Milhizer e Ken Fox compongono una sezione ritmica semplice ed efficace. Insieme sono una vera forza della natura. Le loro canzoncine da “due-minuti-due” sono dei veri inni alla gioia: dalle classiche “The Dreg” e “Stop Foolin’ Around”, tratte dal capolavoro “Roman Gods” (1981), alle recenti, ma non meno spettacolari, “Bigger & Better”, “Serious”, “Pretty Pretty Pretty”, “I Want The Answer”, “I Am What I Am”, “Do You Swing?”.
Anche l’atteggiamento del gruppo spinge verso il coinvolgimento totale… Non si contano le volte in cui i tre quarti della band sono scesi dal palco per suonare in mezzo al pubblico, incitare gli astanti, trascinare la gente in un coinvolgente rock’n’roll party. Tanto per dirne una, Zaremba, Streng e Fox abbandonavano il palco e si dedicavano a fare delle flessioni per terra assieme a dei malcapitati quanto divertiti spettatori, mentre costringevano due persone prese a caso dal pubblico (una di esse era il nostro Roberto Calabrò…). a “suonare” basso e chitarra elettrica…
L’eliminazione della barriera tra artisti e spettatori è stata la logica conseguenza di un ritorno alle radici del rock’n’roll, lontana mille miglia dalla banale standardizzazione della maggior parte degli odierni concerti dal vivo. L’unico rammarico è stato che l’oretta dell’esibizione é volata via in men che non si dica, ma non si poteva chiedere di più a questi indomiti vecchietti. La prossima volta che passeranno per l’Italia, fatevi un regalo: non lasciatevi sfuggire i Fleshtones, la più grande party-band del mondo!
Autore: LucaMauro Assante _ foto di Roberto Calabrò
www.fleshtones.org