I Bauhaus suonano e cantano come se il tempo non li avesse minimamente scalfiti, come se un dipinto invecchiasse al loro posto o se nella notte le ore fossero secondi, e il sole l’unica causa della canizie. Sparute sentinelle annunciano che il fulcro è vicino, e lentamente il nero diviene l’unico colore, una pacifica e aristocratica invasione in questo luogo di sole e pelli dorate, che rendono netto il contrasto con il pallore di vecchi e nuovi tenebrosi. Purtroppo anche nuvole cariche di tempesta volteggiano sulle nostre teste come avvoltoi curiosi – difficile però immaginare un diverso scenario – ma ci bado finchè il quartetto non calca il palco e fa battere forte il cuore. La voce di Peter Murphy, intatta attraverso i lustri arriva profonda e grave sulle note di Double dare, ma è poco dopo, con In the flat field urlata e amata, che mi accorgo davvero di come il tempo si sia cristallizzato, perché per due ore né noi né loro usciremo dai primi anni ’80, da quei pochi anni cioè che i Bauhaus si erano presi per rimanere indelebilmente scolpiti nella memoria collettiva. Ash, Jay e Haskins sono un trio invidiabile, e anche gli errori, o meglio le imperfezioni, sono solo il sintomo di un gruppo grintoso e vivace, non statue di cera buone per Madame Toussaud. Ritmo serrato e momenti di grande lirismo chiariscono definitivamente quanto spirito e passione siano integri, e il pubblico entusiasta ricambia cantando a squarciagola, rapito, il ritornello di Hollow Hills, quel so sad diventato un inno. Quando le luci si abbassano, nessuno crede davvero possa essere finito, e le urla incalzanti sono premiate con le note di Bela Lugosi’s dead con un Peter Murphy in versione stokeriana, mantello roteante per volare via protetto dalla notte. Sanno ciò che volevamo e lo sciolgono lentamente per più di un’ora nelle nostre vene, sangue che scorre e nutre, ma ancora un pezzo manca al mio cuore: certo non stasera, non si può chiedere di più. I tecnici sono sul palco e lascio il posto, refrattario all’illusione che ha invece contagiato tutti coloro attorno a me irrimediabilmente speranzosi: a volte però è dolce sbagliarsi, soprattutto sulle note di Passion of lovers, sentire quella voce affilata squarciare ancora l’oscurità, e accarezzare i miei brividi. Bel modo di finire un sogno.
Autore: Pierpaolo Livoni
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