Il delicato disincanto e quel sicuro senso di partecipazione che gli Architecture In Helsinki sono riusciti fin qui a mettere in gioco sono caratteristiche certamente poco comuni nell’intricato e labirintico paesaggio musicale contemporaneo. Una curiosità che per molti versi è un vero e proprio istinto, una naturale predisposizione all’inclusione, alla chiamata a raccolta di tutte quelle componenti che l’immaginazione di un personaggio come Cameron Bird, alla guida degli AIH, riesce a smuovere. “In Case We Die” è in ogni senso un disco corale, cioè si compone di mille voci, differenti tra di loro, colorate, e solo apparentemente disomogenee. La sua forza risiede, dunque, nella capacità di amalgamare il suono, di ricomporne le mille rifrazioni e sfumature. Quel disco rappresenta davvero il prematuro testamento di una band che ha raggiunto un’estetica compiuta. Dal vivo, poi, gli Architecture In Helsinki si offrono anima e corpo al proprio pubblico. Ed è proprio quello che si è visto in una calda serata di primavera come questa. Aiutati da un folto pubblico, danno vita a uno show appassionante, trascinante. La poca attenzione verso l’aspetto promozionale del tour – il disco è già fuori da qualche tempo ormai – porta la band australiana a privilegiare una scaletta intelligentemente trasversale, meno prevedibile e più coinvolgente. La scelta, così, cade su una sequenza che non mira a spingere il solo “In Case We Die”, ma anche al recupero del primo “Finger Crossed”, nel tentativo riuscito di fare mostra, completa ed esauriente, del proprio percorso artistico. Il piccolo palco del Transilvania sembra letteralmente invaso dagli otto musicisti che compongono gli AIH, con i loro strumenti, fiati, chitarre, percussioni… Si scambiano ripetutamente ruoli e strumenti, divertono e si divertono, e a tratti entusiasmano (come quando suonano “It’s Five”, secondo singolo dell’ultimo lavoro). E alla fine concedono volentieri i bis richiesti a gran voce, accogliendo con gioia sincera la grande manifestazione di calore che il loro pubblico, apparentemente mai sazio, giustamente tributa loro.
Autore: Marco Castrovinci
www.architectureinhelsinki.com