Uno strano concerto questa sera, mutante e cangiante come un gioco a incastro dove pezzi simili compongono figure sempre nuove. Il palco della Galleria è ricolmo di strumenti e cavi che disegnano labirinti degni dell’ingegno di Dedalo, e come davanti a uno specchio gli spalti sono gremiti di membra intricate: non amo i luoghi affollati, e adoro i venticinque spettatori, ma non posso che rallegrarmi del giusto riconoscimento tributato dal pubblico all’impegno di coloro che qui lavorano con passione. I Larsen già stanno suonando, quattro elementi neri come la notte e la prima anarchia, oscuri nella loro musica ermetica e ripetitiva, egotisticamente strumentale, che sul palco formano un piccolo crocchio da cui posso spiare ma non guardare: sinceramente non rimpiango le mozzarelle impanate che mi hanno fatto arrivare in ritardo. Poi arrivano loro, si prendono molti applausi e un piccolo angolo del palco che trabocca di cianfrusaglie sonore, e attaccano (saranno anche un gruppo, gli XXL, ma lo spartiacque è netto come la cresta appenninica). Non posso esimermi dal paragone, imprevedibilità e freschezza sono ora tangibili, c’è calore empatico, nelle picchiate improvvise la voce trova un obiettivo alle circonvoluzioni della musica che a tratti pareva smarrirsi nella sterilità. Ma quando rimangono soli capisco perché sono qui stasera, le note degli Xiu Xiu mi assalgono come ricordi dimenticati che si fanno vividi, una scossa di adrenalina che mi riporta nella piena consapevolezza, finalmente la voce limpida squarcia le quinte nere per ricadere a brandelli su di noi assetati di emozioni. Pescano a piene mani dal loro repertorio, timidi e vicini – si sfiorano continuamente -, sembra una lotta con la vita quella che inscenano: scatti e urla, si batte sui piatti, i muscoli tesi e la chitarra tirata, si suda il male che abbiamo dentro come una tossina. E quella voce che giunge dalla notte ancestrale, quella voce che mescola angoscia e passione, impotenza e desiderio. Il signor Stewart è un tramite che porta fino a noi quel suono puro e tagliente, come diamante, che squarcia la sua gola e ne trasfigura il volto: non importa il testo, la gioia e il dolore superano gli idiomi, è un rito antico che ci purifica e rimette a tutti noi un po’ dell’innocenza che avevamo smarrito.
Autore: Pierpaolo Livoni
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