Nell’accogliente saletta del Tinta di Rosso, sono di scena stasera due delle più interessanti giovani cantautrici americane della nuova generazione.
Il pubblico è numeroso e attento, l’atmosfera raccolta. La prima ad esibirsi è Jana Hunter.
Minuta, occhialuta, in pantaloncini corti e maglietta di Moltheni, è a metà strada tra la regina suprema dei nerd e una campeggiatrice appena uscita dalla sua tenda. Estetica (discutibilissima) a parte, il suo live è intenso, quasi ipnotico.
Jana, pupilla dell’eroe neo-freak Devendra Banhart, propone le sue canzoni ultra-essenziali, per sola voce e chitarra (a parte “K”, gradevole parentesi electro-pop, alla fine del set). Canzoni dotate di una forza evocativa notevole, molto più “solide” di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, considerando l’approccio in bassa fedeltà, solo apparentemente “svogliato”. Applausi meritati.
A seguire, Marissa Nadler, che, seduta con in braccio la sua chitarra acustica, ci trascina in un viaggio misterioso tra favole d’amore senza tempo, ballate tenebrose e bellissime al tempo stesso. Una voce cristallina, semplicemente meravigliosa, capace di gelare il sangue. Uno stile a dir poco “conservatore”, di un rigore quasi eccessivo per una ragazza poco più che ventenne. Marissa è timidissima e anche un tantino insicura (più volte le capita di dover ricominciare un pezzo, dopo averne cambiato l’intonazione). Il suo folk arcaico evoca paesaggi un po’ lugubri. Per fortuna, dopo il concerto, il giardino fuori alla sala ci ricorda che la primavera è nel pieno del suo splendore. Ce n’eravamo quasi dimenticati, persi nel perenne inverno della musica di Marissa.
Autore: Daniele Lama
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