La musica elettronica contestualizzata in un ambiente “reale”. Il suono elettronico puro, sgorgato direttamente da generatori di suono inerte alle condizioni fisiche quali computer consolle ed affini, calato all’interno coordinate fisiche e storiche determinate, da canale diviene senso, riuscendo ad esprimere significati concreti, fruibili ad un livello più fenomenico.
E’ questa l’operazione che l’associazione culturale Interzona porta avanti con successo a San Martino Valle Caudina con Interferenze, festival delle arti elettroniche alla sua terza edizione. Le linee guida di quest’anno sono illuminanti a tal proposito: “Rumori, Visioni e Bit di Campagna”.
In questa rustica e decisamente decadente cornice di paese, dalla radicata tradizione agricola, la grafica vettoriale si accoppiava nella percezione del fruitore ad i sampietrini della piazza, il mix video con le statue polverose del municipio, i beat elettronici con lo scrosciare del fiume. Il tutto assume un connotato metafisico di assoluta sospensione spaziale, venendo a delineare una dimensione particolarissima.
La seconda di queste tre giornate è stata particolarmente significativa di quanto detto: l’inizio pomeridiano è dedicato al video sperimentale con il seminario teorico-pratico dal titolo “Videocomunicazione tra Sperimentazione Creativa e Flusso elettronico” in cui sono intervenuti lo studioso di video d’avanguardia Alfonso Amendola dell’Università di Salerno ed il videomaker norvegese Hc Gilhe, che oltre ad aver mostrato dei propri lavori di videoarte e videodanza ha mostrato praticamente la sua tecnica di video editing basata sull’uso del software a sorgente aperta Max. In seguito video dello stesso autore sono stati proiettati prima delle esibizioni live nella cornice affascinante di “Capofiume”, con gli spettatori seduti su un muro di pietre tra il fluire del video e quello del fiume.
Il live set è aperto dai suoni asciutti del partenopeo Mass, che fornisce un esibizione senza fronzoli, piena di passaggi suggestivi di gran classe. A seguire è la volta di Populous, salentino prodotto da Morr Music, per l’occasione accompagnato da Matilde de Rubertis (Studiodavoli), chitarra e voce; il duo in realtà non riesce a mettere a fuoco l’esibizione, che in certe fasi sembra trascinarsi senza mai trovare il proprio punctum, i bei beat (molto hip-hop) di Populous sono troppo spesso trattenuti da blandi giri di chitarra e soluzioni armoniche non particolarmente brillanti. Il risultato di straniamento probabilmente dipende anche dalla non riuscitissima resa in accoppiamento alla musica dei video in background, pur di ottima fattura.
Si prosegue col trio di splendide fanciulle svedesi Midaircondo (nella foto), autentica sorpresa della serata. Le sonorità dilatate di accento evidentemente nordico ben si univano col fitto intreccio del cantato (forse solo un po’ troppo Bjork, periodo Homogenic) e alle soluzioni sonore di carillon, strumenti giocattolo ed affini, a creare uno spazio sonoro sospeso e conturbane meritevole di interesse.
Con un bel po’ di ritardo rispetto alla tabella di marcia comunicata dagli organizzatori, infine, Jan Jelinek si presenta sul pulpito pronto a predicare il sermone che gli riesce meglio. Per bibbia Jan ha un laptop, seguita dagli attrezzi del mestiere: effetti vari, strumenti per i controlli Midi e il suo immancabile campionatore. Jelinek, conosciuto nell’ambiente anche come Farben o Gramm, questa sera è orfano dei suoi colleghi di palco, il trio australiano dei Triosk. Inizialmente, esprimo un leggero sentimento d’insoddisfazione, date le premesse di “ennesimo concertino di laptop-music” (bellissima, eccitante ecc… ma fino ad un certo punto…); durante la serata sono costretto a ricredermi: il live è un ottimo lavoro di cut’n’paste di samples e successioni di mix richiamate da leggeri accenni e spunti jazz appoggiati su sequenze parzialmente tangibili e minimali, orientate a tratti verso il pop, sotto certi altri versanti vicine alla techno o proiettate verso orizzonti lontani e astratti …chissà! Naturalmente tutto ciò è riconducibile al passato ed al presente dell’artista, esempio lampante, un suo disco del 2001, pubblicato dalla Scape di Pole, si chiama, non a caso, “Loop-finding-jazz-records”. Eppure Jan sul palco non si fossilizza, è un elemento positivo e sicuro di sé, il live non stanca anche perché vario e di ottima fattura, ed i presenti apprezzano nella quasi totalità dei casi, anche quelli venuti convinti che ci fosse da ballare!
Autore: PasQuale Napolitano + Luigi Ferrara
www.interferenze.org