Chiusura col botto per il tour estivo degli Afterhours. Complice l’ormai consolidata amicizia con Greg Dulli, l’ultima data del gruppo di Manuel Agnelli ha visto come opening act i Gutter Twins, ossia la nuova “creatura” ordita dal duo composto dallo stesso Dulli e Mark Lanegan. Ovviamente, non essendo il relativo disco ancora stato messo in commercio, era arduo immaginare cosa aspettarsi esattamente dalla loro esibizione, per altro la prima in assoluto su scala internazionale! Nella (vana) speranza che il concerto prendesse il via in orari decenti, alle 20 circa mi trovavo già nell’ampia area del centro sociale capitolino. Purtroppo sono passate quasi tre ore prima che avesse inizio il tutto. Intorno alle undici, entrambi i musicisti statunitensi si sono quindi materializzati sul palco, accompagnati dai loro colleghi italiani in veste di backing band. In apertura, si è potuta udire “Front Street“, l’unica inedita composizione del breve set dei due. Da ciò che si è potuto udire, un rock-noir di pregevole fattura ma che, per ovvi motivi, è stato assai poco indicativo sulla direzione che prenderà l’intero progetto. Il resto del programma, ha visto Dulli e Lanegan interagire nei rispettivi repertori (da brividi l’interpretazione di “Dollar Bill” degli Screaming Trees) oppure interpretare dei sentiti omaggi, come la cover di “Strange Fruit” di Billie Holiday. Dopo appena otto brani, però, i nostri si sono ritirati, lasciando spazio ai protagonisti della serata nonché irreprensibili “aiutanti”. Un peccato, considerando che le emozioni, fino a quel momento non erano mancate di certo. Speriamo che presto vi sia l’occasione di poter apprezzare appieno il potenziale dei Gutter Twins. Ormai, invece, non hanno bisogno di conferme gli Afterhours. La copiosa affluenza del pubblico capitolino è un’ulteriore attestato dello status di icone del rock italiano “altro” (no Vasco, no Ligabue, per intenderci) di Agnelli e soci. Nel paio d’ore di concerto, gran risalto viene dato alle ultime prove del gruppo, “Quello Che Non C’è” e, soprattutto, il recente “Ballate Per Piccole Iene”. Di conseguenza, meno rock tirato e largo spazio alle introspezioni da ballata narcoelettrica. Una scelta che sul breve termine paga ma che sulla lunga distanza lascia qualche perplessità, legata ad una ripetitività di schemi che fa risaltare ancor di più la dipartita di Xabier Irondo e delle sue devianti trovate chitarristiche. In compenso la maturità dell’ensemble meneghino, sia sotto l’aspetto esecutivo che lirico (su parecchie band emergenti e non, in questo senso, mi verrebbe voglia di “scatarrarci su”, come direbbe il buon Manuel…) è emersa in maniera convincente, complice un lungo rodaggio in lungo e largo per la nostra penisola che non poteva che dare buoni frutti. D’altro canto, bastava vedere il saltuario impiego in organico di Dulli (all’occorrenza chitarrista, tastierista e corista doc) per rendersi conto di come non avessero nulla da invidiare all’illustre collega. A questo punto, sono curioso di vedere come verrà accolto all’estero, la versione inglese di “Ballate Per Piccole Iene”, in uscita fra qualche mese su One Little Indian. Nel frattempo, qui a Roma, Italia vs Stati Uniti è finita uno a uno. Trattandosi di un concerto e non di una partita di calcio, un bel risultato, non vi pare?
Autore: Luca M. Assante
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