Cara mamma, ti scrivo per dirti che ho visto lo spettacolo di Celestini, che doveva essere su un palcoscenico, e in effetti all’inizio c’era, però quando ha iniziato a parlare fitto fitto e preciso, piano piano ho visto ergersi l’ammasso grigio e squadrato dall’ombra eterna, la fabbrica, e siamo penetrati nel cemento oscuro, verso il suo centro passando per l’ignominia delle vasche mercuriali fino all’altoforno, dove il metallo non è più metallo ma diventa luce, il cuore di tutto, e lì ho ascoltato una storia, cent’anni di fabbrica e di Fulvio, che è uno e trino, perché il nostro nome porta con sé il ricordo dei morti, e così Fulvio nonno padre nipote li ha vissuti tutti questi anni, da prima della Guerra, prima che servisse un ordinale per evitare confusione, quando se facevi un capolavoro non te ne andavi al freddo del fronte ma continuavi a lavorare ma poi tutti licenziati lo stesso la guerra è finita, e i padroni sempre più padroni – tutto mio tutto mio – , e poi arriva il pelato GRAdaSSO che piazzava ovunque una sua copia ancora più stupida e quindi più cattiva che spacciava tessere che devi avere sennò non entri più da nessuna parte, neanche in fabbrica, e tu non vorresti ma se c’hai un figlio te tocca farla per farlo magnà, ma anche lui poi lo appendono e i padroni sempre più padroni e visto che non si può lasciarli in pace questi operai con la repubblica gli hanno mandato la polizia. Allora, oggi, nel ’49 nel ’19 nel ’39 nel 2009 se fosti eri sei sarai un operaio non è cambiato né cambierà un cazzo, devi morire per i tuoi segreti, sempre a combattere senza vincere, e cara mamma, questo il signore sul palco ce lo dice in modo ben scandito, parlando a mitraglia per più di un’ora senza esitazioni, e la sua voce squillante in piedi o complice su di una sediolina rossa gli sono sufficienti per evocare tonnellate di cemento e ingiustizia, scontri e sorrisi, e mentre incessante “canta” vediamo tutto, esalta con la sua recitazione l’essenza del teatro, la finzione, e vediamo i visi segnati i muri scrostati l’aria viziata le pallottole impazzite, ma quando smette, tutto svanisce dal proscenio, le luci si spengono e ti chiedi dove è finito e ti guardi attorno e poi la vedi lì, ti tasti ed è proprio lì, una cicatrice sullo stomaco per non dimenticare
Autore: Pierpaolo Livoni