Molte perplessità hanno preceduto questo concerto. Trovata commerciale? Speculazioni sul nome di Frank Zappa? Tutto era plausibile soprattutto quando sui manifesti leggiamo “Napoleon Murphy Brock (con Zappa nel decennio ‘74-’84, ndr), Don Preston (dal ’66 al ’74, ndr) e il mitico Roy Estrada (con Zappa a più riprese tra il ’64 e l’82 presenza in numerosi lavori del genialoide Captain Beefheart e di Ry Cooder, ndr). Solo tre? Ma Zappa avrà suonato con più di cinquanta musicisti! Possibile che non hanno trovato almeno altre due persone per completare la line-up e non chiamare due turnisti? Dunque perplessità più che giustificabili. Ma quando entriamo nel piccolo locale vomerese, il Marabù (perfetto per questo tipo di concerti perché molto raccolto, ndr) veniamo subito travolti prima dalla vitalità e simpatia dei musicisti e successivamente dalla loro incredibile perizia nel riproporre i classici (almeno in parte, ndr) del repertorio del signor Francis Zappa.
La simpatia e il tono intrinsecamente gioioso delle canzoni di Zappa e la simpatia dei musicisti (in particolare di Napoleon e di Roy Estrada, ndr) ha permesso che il concerto non assumesse un tono religioso e celebrativo. I ragazzi continuano a definirsi “gli alunni” del maestro Zappa benché siano tutti grandissimi musicisti che hanno collaborato e suonato in album di grande successo. Nel camerino ci spiegherà Roy Estrada che: “solo noi eravamo amici di Zappa, avevamo un rapporto diretto e stretto mentre gli altri sono semplici turnisti, per questo abbiamo deciso di non coinvolgerli nel progetto”. Il pubblico è in delirio quando partono le note di classici del calibro di ‘Montana’ e tanti dall’acclamato ‘Freak Out’ come ‘Hungry, Freaks Daddy’, ‘I Ain’t Got No Heart’ e ‘Go Cry On Somebody Else Shoulder’, tutti eseguiti con grande tecnica e con un pizzico di interpretazione personale di grande gusto. Da ‘Absolutely Free’ hanno proposto ‘Uncle Bernie’s Farm’ (con uno show di Estrada sui versi degli animali) e ‘Plastic People’.
Grande lavoro del chitarrista Ken Rosser, grandissimo chitarrista dal punto di vista tecnico ma forse troppo quadrato per suonare pezzi di un folletto come Frank Zappa. Le dimensioni del locale annullavano le distanze tra pubblico e artisti, tanto da creare una atmosfera unica di fusione tra musica, simpatia e feeling; tutto in nome di un musicista che nei suoi testi trattava di argomenti oggi attualissimi ma neanche immaginabili negli anni sessanta e settanta. Vedere e conoscere questo tipo di persone fa bene al proprio rapporto con la musica. Dimostra che esistono tante persone che dopo quaranta anni di musica hanno la stessa vitalità, voglia di vivere e di suonare. E che non hanno problemi a parlarti e a conoscere la tua opinione anche se qualche anno fa suonavano sui palchi più prestigiosi del mondo. Va bene così…
Autore: Andrea Belfiore