Tornano in Italia i Sophia e per me che finora non li ho mai visti dal vivo l’occasione è di quelle da non mancare per più di un valido motivo : per tutto quello che la voce di Robin Proper-Sheppard ha rappresentato e tuttora rappresenta nel mio immaginario (“It’s all over” dei God Machine per me resta una delle più belle canzoni scritte negli anni Novanta…), perché stavolta i Sophia saranno eccezionalmente accompagnati da un quartetto d’archi andando così a ripercorrere l’esperienza documentata nel live del 2001 “De nachten”, e infine perché il concerto casca di sabato nella vicina Bologna e rientrare a Firenze a notte inoltrata è decisamente meno faticoso quando sai che il mattino seguente l’odiato trillo della sveglia non andrà ad interrompere il tuo sonno domenicale….
Arrivo all’Estragon un po’ in ritardo e al centro del palco, spalleggiata da batteria e contrabbasso, c’è già Thalia Zedek a calamitare l’attenzione del pubblico. L’ex cantante di Come, Live Skull ed Uzi appare in ottima forma: le sue crepuscolari ballate blues e la sua voce calda ed abrasiva costituiscono il miglior prologo possibile per quanto arriverà dopo.
E’ sulle note pre-registrate di “Airports” (pezzo strumentale che apre il disco a tiratura limitata “Collections : one”) che i Sophia fanno il loro ingresso: gli applausi sono tutti per Robin Proper-Sheppard, mentre dietro di lui prende posizione lo string quartet. Due violini, viola e violoncello a commentare un inizio di concerto che rischia di trasformarsi in un karaoke per inconsolabili indie-rockers, con Robin Proper-Sheppard che introduce frettolosamente le canzoni e ne inanella rapidamente tre (se ricordo bene “Fool”, “Swept back” e “Swore to myself”) senza scaldare troppo i cuori dei presenti…. Primi quindici minuti un po’ deboli, ed è quindi solo dal quarto brano della scaletta – l’elettricità vibrante di “Desert song no. 2” – che il feeling con il pubblico inizia veramente a decollare. Da lì è un continuo crescendo, tra episodi dell’ultimo “People are like seasons” (praticamente eseguito per intero: l’ottima “Oh my love”, una “If a change is gonna come” in pieno stile May Queens, una “I left you” da brividi…) e nostalgiche cartoline dal passato, tra le quali “Bastards”, che deforma i lineamenti di un Robin adesso più che mai convinto e convincente, e la cavalcata di “The river song” che da sola vale l’intero prezzo del biglietto.
Consueta pausa prima dei bis e Robin Proper-Sheppard ricompare sul palco in compagnia esclusivamente della sua chitarra: “oggi è il mio compleanno” annuncia “e per l’occasione vorrei cantare il pezzo più allegro del mio repertorio”…. Sorrido al sereno cinismo delle ultime parole non appena riconosco l’accordo di “So slow”…. “But death comes so slow when you’re waiting, when you’re waiting to be taken…”
Autore: Guido Gambacorta