Reportage a mente fredda
Neapolis Festival, atto ottavo. Un evento che si articola in ben cinque date diverse, in tre differenti location. Due “anteprime” ad altissimo livello (16 e 20 giugno), due date che costituiscono il vero “cuore” del festival (7 e 8 luglio), e un finale magniloquente (9 luglio).
Nel ritrovato (anche per la musica pop, finalmente!) spazio dell’Arena Flegrea, ad inaugurare l’ottava edizione del Festival è invitato BEN HARPER con i suoi Innocent Criminals (16 Giugno). Sfidando le nubi che minacciano di rovinare la festa, il Nostro esordisce con una versione reggae di “Excuse me, Mr.”, uno dei pezzi forti di quel capolavoro che era “Fight for your mind”. Poi, nel corso di un concerto lungo e generoso, Harper riesce a dosare i vari stili che fanno parte della sua cultura meticcia, intervallando brani rock e funky di rabbia e protesta (“People lead”, “Temporary remedy” e “Ground on down”, con chitarre elettrica e slide) a brani di amore e fede (“Gold to me”, “Amen omen”, con chitarre acustica e slide).
Dimostra di saper sfruttare al meglio la lezione di numi tutelari come Hendrix, Redding, ed ancor di più, per l’incisività e la spiritualità dei testi, Dylan e Marley. Da esperto dosatore di tempi musicali e di emozioni, chiude il concerto con l’hit dello scorso anno e con lo stesso, magico ritmo con cui ha aperto la serata: quello del reggae. “With my own two hands”, canzone di speranza a cambiare il mondo, viene così legata a quello che costituisce il manifesto politico di Bob Marley: “War”).
Quattro giorni dopo, si cambia musica e si cambia radicalmente scenario. Nella polverosa ma sempre affascinante area dell’ ex-Italsider, arrivano THE CURE (20 Giugno). Ad aprire la serata, i mediocri (nonché assolutamente fuori contesto) Sun Eats Hours (che invano tentano di far zompettare migliaia di darkettoni con i loro ritmi ska-punk) e gli insipidi Marla Singer, che beccano più fischi che altro. Il pubblico (svariate migliaia di persone da tutto il centro-sud) non aspetta altro che Robert Smith & co., ovviamente.
Il concerto parte un po’ in sordina, dato che la scaletta prevede innanzitutto brani del nuovo, omonimo Cd in uscita a giorni. Nessuno conosce i brani in questione, ed è quindi scontata l’accoglienza un po’ tiepida. Basta però qualche richiamo al passato perché l’atmosfera generale si riscaldi realmente. Le varie “Fascination Street”, “Charlotte Sometimes”, “Love Song” hanno via via fatto decollare l’interazione tra gruppo e platea. Non essendo mai stati i nostri, in particolare Robert Smith, dei grandi animali da palcoscenico, è stata l’esecuzione della musica il vero fulcro del concerto. La dipartita, avvenuta ormai vari anni fa, del poli-strumentista Porl Thompson, in effetti, ha fatto perdere in parte ai Cure quel tocco di eccentricità che li caratterizzava. Certo, i cinque decadenti “imaginary boys” rimangono tutt’ora dei professionisti seri(osi) e degli ottimi musicisti. Non si risparmiano nell’eseguire lunghe cavalcate narco-elettriche alternate alle canzoni più pop del loro repertorio (“Just Like Heaven”, “Boys Don’t Cry” tra le altre), sforando abbondantemente le due ore di presenza sul palcoscenico.
Qualche giorno di pausa e si ricomincia, nuovamente all’Arena Flegrea. Il Neapolis entra nel vivo, finalmente con sembianze di vero festival. All’esterno dell’arena è sistemato il TUBORG / FREAK OUT STAGE (ad ingresso gratuito!), su cui sfileranno, in due giorni (7 e 8 luglio), giovani promesse, solide realtà della scena indipendente nazionale, e artisti internazionali di indiscutibile spessore. L’onore di iniziare è affidato ai VALDERRAMA 5 (tra i vincitori delle selezioni DESTINAZIONE NEAPOLIS), che regalano sorrisi e strappano appalausi di grandi e piccini, col loro delirante mix di rock’n’roll, surf, cocktail-lounge super sexy e champagne a buon mercato. Tra i banchetti della zona-fiera del piccolo “villaggio” allestito attorno al parco già si parla di “band del secolo”. Chi vivrà vedrà.
Tutt’altro tipo di vibrazioni vengono sprigionate poco dopo dai MIRSIE, che suonano compatti e potenti, confermandosi tra i più ispirati e appassionati interpreti, in Italia, di un rock che sa ancora di sudore e polvere, senza tante concessioni a fronzoli ed intellettualismi. A seguire i CANDIES, che – abbondate le dilatazioni post-rock degli esordi – riversano sul pubblico nervose scariche di spigoloso post-punk. La serata decolla con gli ZEN CIRCUS. Divertenti, ironici, sgangherati, mettono in piedi uno show assolutamente convincente, dimostrandosi capaci di coinvolgere il pubblico con il loro folk rock dall’animo punk, con le loro canzoni sbilenche dal fortissimo sapore Violent Femmes. I primi stranieri a calcare il palco del secondo palco del Neapolis sono i MONO, band strumentale giapponese capace di alternare momenti di estatica sospensione sonora ad esplosioni noise che lasciano il pubblico di stucco. Un po’ freddini, sul palco, ma capaci di ammaliare e ipnotizzare i presenti con una musica altamente evocativa. Mentre sul palco principale ha già iniziato a suonare la super-star della serata, PETER GABRIEL, sul Tuborg/Freak Out stage ci pensano i LOOZOO (anche loro in veste di vincitori di Destinazione Neapolis) a intrattenere con i loro corposi beat elettronici chi dell’ex-Genesis non ne vuole minimamente sapere.
A chiudere la serata sono chiamati gli islandesi BANG GANG, che purtroppo lasciano piuttosto perplessi, con una performance scialba, distratta e confusa. La band è vistosamente alticcia, e non riesce minimamente a ricreare le morbide atmosfere del gradevolissimo “Something wrong”, i cui brani – dal vivo – non convincono. Strappano un sorriso con la cover di “The Locomotion”, ma poco altro.
foto Massimo @ Sonorika.com
Autore: Daniele Lama + LucaMauro Assante, Giampaolo Nocera