Arrivo al Palapartenope (o Teatro Tenda, che dir si voglia) un po’ in anticipo, qualche vecchia conoscenza e qualcun’altra nuova mi fa compagnia in questa serata. Ne avrò visti quaranta di concerti dei 24 grana dal 1997 ad oggi, eppure so di trovarmi di fronte ad un’occasione speciale. Il Palapartenope è buio è pieno di gente che non fa che aumentare, si assapora il fumo e il caldo, e l’attesa fa scalpitare: un po’ d’attesa come succede sempre, alle feste, per gli invitati più in vista. Addosso sento all’improvviso solo il soffice impatto delle urla di chi incalza i soli protagonisti della serata, i suoni, a salire sul palco.
Le luci da spente s’accendono forti, il fumo denso e bianco ha smesso di fuoriuscire, e appaiono i 24 grana in un’atmosfera blu, distanti e piccoli su di un grande palco, ma così straordinariamente vicini alle persone. Sulla sinistra Armando Cotugno al basso e subito dietro di lui Renato Minale alla batteria e all’estrema destra Giuseppe Fontanella alla chitarra.
Le parole di Francesco Di Bella (il cantante, ndR) raccontano di nostalgia, di tempi passati, di concerti visti ed ascoltati in questo stesso teatro anni fa, con occhi e orecchie più giovani. Comunica così la decisione di lasciare che la storia della serata prosegua raccontando il romanzo delle loro vite musicali, piuttosto che i brani dell’ultimo disco: un concerto un po’ inusuale per la promozione di un nuovo album, ma capace di raccogliere tutta la loro essenza. Accanto a loro si preannunciano gli amici delle “paranze di piazza San Domenico”, quelli che li hanno visti crescere, quelli che sono stati compagni e maestri. Il Palapartenope vibra alle prime note di “Loop” (dal disco omonimo), ed è un’emozione indicibile.
Tanto tempo è passato dall’ultima volta che ho visto un concerto aprirsi con questa canzone, nella mente i ricordi di anni racchiusi nei suoni di chi Napoli l’ha saputa raccontare. Un continuo salto nel tempo all’indietro e di nuovo al presente con le canzoni dell’ultimo disco: compare sul palco, con la sua voce e le sue percussioni, Marina Rei.
Un’ospite che sentivo quasi come intrusa si rivela capace di colorare con una bellissima voce i 24 grana di sfumature che sembravano prendere per la prima volta, una sorpresa piacevolissima, una meravigliosa esecuzione di “Kanzone Doce” (dal disco K album) regala bellissime atmosfere. Non manca, nel corso della serata, il riferimento al Centro Sociale Officina 99 in difficoltà. Francesco sottolinea l’importanza delle iniziative sociali e culturali che hanno dato spazio anche alla loro musica nascente qualche anno fa.
Prosegue il viaggio, ancora per mano ad un vecchio amico, Eugenio Bennato ed un’indescrivibile “Scugnizzi”, scosse di pianto e tremori, commozione e risate grasse di chi nasconde il dolore mentre cantiamo “Brigante se more” assieme a Francesco ed Eugenio ed ai mille cuori liberi di questo pianeta. Sergio Maglietta e “‘O cient’ gramm'” direttamente dai Bisca aggiungono un sax d’autore ed una nuova chitarra a “Lu cardillo” cantata a due voci. Sale a bolla un coro di cinquemila persone: “A me, che stongo ccà…” cantano, su fino al cielo per ricadere sul mio volto come una pioggia di primavera.
Apro le braccia e mi lascio inondare dalla conclusiva “Tarantolata” eseguita dalla davvero più potente voce della Campania: Marcello Colasurdo. che dipinge le strade e i vicoli e le tammorre in un istante, per lasciare spazio a Marina Rei che interviene con canto e percussioni. Assente Luca “Persico” Zulù dalla 99 Posse, mi viene solo da pensare che si è perso un bello spettacolo. Esco ripensando alla serata ancora incollata alle orecchie: ospiti d’onore ed esecuzioni impeccabili, un concerto memorabile per le emozioni che m’ha regalato, e non c’è molto altro da aggiungere: riempire il cuore delle persone è il più grande successo cui potessero aspirare le anime che hanno cantato e suonato questa sera.
Autore: Angelo Paolillo