A dispetto delle ottime parole spese dalla stampa inglese, e più recentemente anche da quella nostrana, il concerto di Warlocks e Sleepy Jackson resta un’affare per pochi. Fra gli intervenuti tuttavia traspare una certa curiosità per vedere alla prova del fuoco due delle realtà più interessanti emerse dal panorama indipendente nel corso del 2003.
Aprono le danze gli Sleepy Jackson, già salutati come una delle band cardine della rinscita del rock australiano assieme agli ormai noti Vines, Datsuns e D4. Rispetto a quanto dimostrato sul loro album d’esordio “Lovers” i nostri suonano molto più elettrici e potenti, merito anche di una batteria a dir poco tonante! Purtroppo però non tutto fila liscio come dovrebbe. Il set è frammentario e il gruppo pare indeciso se abbandonarsi a derive noisy o se dare spazio al suo peculiare incrocio di pop, psych e folk. Laddove sceglie questa seconda strada si hanno i momenti migliori: l’attacco di “Good Dancer” dà i brividi mentre “Rain Falls For Wind” è oscura e conturbante. Altrove Luke Steele e soci si lasciano prendere la mano, percutotendo gli strumenti in lunghi finali dissonanti, ma è in questi momenti che l’occhio scivola sull’orologio in attesa del piatto forte della serata.
Il tempo di un veloce cambio set, per montare le due (!) batterie ed ecco che arriva la corazzata Warlocks.
L’impatto è stordente! Difficile riscontrare anche la minima sbavatura nel magma sonoro della formazione americana. E’ materia che trascende i confini musicali; è una sostanza psicotropa che aggredisce direttamente i sensi e ci inocula una massiccia quantità di endorfine che ci lasciano felici e inebetiti. Almeno per i primi tre pezzi! Poi arriva il momento di muovere il culo al ritmo di “Hurricane Heart Attack”.
Nel loro suono si fondono trent’anni di acid rock, dagli Stooges di “Fun House” ai Jesus and Mary Chain, passando per un certo space-rock alla Hawkwind. La differenza fra i due gruppi di stasera la fa la quantita di sostanze assunte e canzoni come “Shake the Dope Out” e “The Dope Feels Good”, gemme che sembrano provenire direttamente da un festino psichedelico dei tardi sixties. Il fumo denso che fino a questo momento ricopriva il palco si dirada e lascia intavedere le sagome dei sette freaks, ma siamo quasi alle ultime battute, il tempo salutare sulle note di una “Baby Blue” cantata a gran voce dai presenti e l’astronave Warlocks riprende il volo per gli spazi profondi, lasciandoci addosso una piacevole sensazione di straniamento.
Autore: Diego Ballani