Si respira aria di Scozia a Madrid…Ad aprire il Festival itinerante di musica indipendente “Wintercase San Miguel 03” sono The Delgados di Alun Woodwarth ed Emma Pollock: scozzesi DOC (di Glasgow, ovviamente!), egregi rappresentanti del fermento “dreamy-folk-pop” che anima lo scenario anglosassone degli ultimi anni. A far loro da spalla, gli oscuri e atmosferici Devics, che salgono per primi sul palco. Sala Caracol sembra un teatro. Due tendoni di velluto rosso separano il palco dal pubblico, numerosissimo. Tutt’intorno, sulle pareti, schermi che proiettano immagini di concerti e interviste dei due gruppi che si esibiranno di lí a poco. Il posto sembra perfetto, l’acustica é buona. Il tendone si apre… Sara Lov é bellissima con la sua solita mise anni Trenta, e la sua voce, decisamente, commovente…così come le canzoni dell’ ultimo album, “The stars at Saint Andrea”. Aprono il concerto con “Red morning”, e l’atmosfera si fa subito calda e morbida, coinvolgente. A seguire, le note di “In your room” e di “Don’ t take it away” (follow me to nowhere…) c’immergono in un atmosfera rilassata e sognante… “Safer shores” (sicuramente uno dei miei pezzi preferiti) struggente, intensa, come la bellissima “My beautiful sinking ship” dall’EP “The ghost in the girl”. Solo mezz’ora di concerto e la Lov lascia definitivamente il palco ad un’altra voce meravigliosa: quella di Emma Pollock. The Delgados…sembrano dei ragazzini (sará il loro abbigliamento fin troppo semplice), in realtá sono sulla scena da anni (proprio loro, otto anni fa, hanno fondato l’etichetta indie Chemical Underground). Protagonista il loro ultimo album “Hate”, un particolare trattato sopra l’odio che passa da delicate e intense ballate (“Coming in from the cold”) ad estremi puramente noise. La musica dei Delgados ipnotizza e spiazza, grazie proprio a questi contrasti. Ció che, a mio parere, la rende cosí perfetta é l’equilibrio che riesce ad avere: l’armonia tra componenti classiche ed elettroniche, l’uso totalmente originale della voce, quella instabilitá apparente di suoni che si mischiano tra loro e stili che si alternano… E inoltre possiedono la grande capacitá di riempirti dentro…
Il concerto è un esplosione di suoni misti a rumori e di rumori e caos che diventano musica.
Il tutto accompagnato dalla voce soave di Emma e da quella piú suadente di Alun Woodward che creano atmosfere dense di malinconia, con “All you need is hate”, ad esempio, (…Hate is everywhere, look inside your heart and you will find it there. You ask me what I mean. Hate is all I mean…) alternate ad altre più rilassate, a sprazzi allegre, ma con moderazione. Un’altalena di stati d’animo che seguono il ritmo mutevole delle canzoni e le distorsioni sonore…emozioni fin troppo distanti, racchiuse in poche note (si pensi a “Thirteen gliding principles” dall’album “The great Eastern”). Degna di nota la reazione del pubblico, stupito, silenzioso, estremamente concentrato, specialmente al momento, da pelle d’oca, di “Child Killers”, ultimo pezzo.
Con un breve bis la band scozzese ci saluta (“Cheers!” + sorso di Jack Daniels…) lasciando noi tutti immersi tra le vibrazioni e le distorsioni delle loro ultime, intense, note…ancora increduli.
Autore: Sara Ferraiolo