Ci siamo rincorsi telefonicamente per alcune settimane, fino a quando siamo riusciti a fare quest’intervista. Pochi giorni prima delle feste natalizie Andrea Satta, voce e autore dei testi dei Têtes De Bois, si è sottoposto alle domande per un’intensa intervista telefonica, nella quale, oltre a spiegare come è nata l’idea della raccolta “Mai di moda” (AlaBianca), da poco uscita per celebrare il lor ventennale, ci ha anticipato che con il gruppo (gli altri componenti sono: Carlo Amato al basso, al contrabbasso e alle programmazioni, Angelo Pelini al pianoforte e alle tastiere, Luca De Carlo alla tromba, Lorenzo Gentile alla batteria, Stefano Ciuffi e Maurizio Pizzardi alle chitarre), sta preparando un nuovo album dedicato a Leo Ferré, a cui i nostri avevano già dedicato lo splendido lavoro dal titolo “Ferré, l’amore e la rivolta”.
Nell’intervista Satta ci parla anche di questioni sociali importanti come la decrescita, il Pil, argomenti a cui non poteva esimersi dato l’impegno suo e del gruppo nelle lotte che riguardano il lavoro e lo spirito ecologista tanto da spingerli a fare concerti utilizzando l’energia sprigionata dalle pedalate del pubblico.
Da che cosa è nata l’esigenza di pubblicare questa compilation?
Non è stata dettata soltanto dal voler festeggiare i vent’anni. Partiamo dal fatto che vent’anni sono un periodo particolare, perché vent’anni ce li ha la Salerno – Reggio Calabria, c’è il ventennio fascista e poi abbiamo i vent’anni di Berlusconi, quindi vent’anni nell’immaginario rappresenta più che altro cose brutte, per cui c’è poco da festeggiare.
Battute a parte il vero motivo che ci ha spinto a pubblicare questa raccolta è il fatto che i nostri dischi non si trovano più in giro, a parte “Goodbike”, a causa della chiusura dell’etichetta discografica de il Manifesto. Siccome molta gente ce li chiede, abbiamo pensato alla raccolta, in occasione dei vent’anni di attività.
Questa raccolta è stata anche l’occasione per fare un bilancio?
I bilanci è meglio non farli mai. La raccolta è stata anche un momento di felicità, perché nella scelta delle canzoni abbiamo ricordato anche come sono nate. Ogni brano è legato ad un momento speciale, perché molte di queste sono nate o sono state suonate in posti assurdi: in un tram, in una vasca da bagno, ecc.. Ognuno è un piccolo fiore.
“Mai di moda” vi è servita anche per valutare se i Têtes De Bois devono ripartire diversamente?
La prospettiva è quella di continuare con il palco a pedali, nel quale 128 bici ferme e pedalate dal pubblico, producono energia per il funzionamento del palco.
Per quanto riguarda le prossime uscite discografiche abbiamo in cantiere un disco per la fine della prossima primavera. Sarà un altro disco dedicato a Leo Ferré, con tutte canzoni in italiano, diverse da quelle presenti in “Ferré, l’amore e la rivolta”. Ci sembra doveroso far conoscere almeno una parte del repertorio di questo artista francese poco conosciuto. Nel 2002 ci colpì molto il fatto che Ferré fosse molto apprezzato dai giovani, infatti, non solo vendemmo ventimila copie, una quantità che dieci anni fa per un gruppo indie era molto elevata, ma suonammo in molti licei ed università. Sicuramente è il fascino che suscitano le sue canzoni sempre tese a manifestare un senso di ribellione. Il repertorio di Leo è vastissimo, contempla ben 440 canzoni e sceglierle è stato difficilissimo.
Anche per questo nuovo disco state pensando di ospitare amici e compagni di viaggio come per “Ferré, l’amore e la rivolta”, nel quale erano presenti, tra gli altri, Nada, Daniele Silvestri e Francesco Di Giacomo?
Si, ci stiamo pensando, proprio questa sera ci riuniamo a casa mia e davanti al camino, con vino e castagne, per prendere la decisione al riguardo.
A questo punto mi incuriosisce sapere qual è il vostro modus operandi nella costruzione dei brani.
Ci confrontiamo molto liberamente. Partiamo da delle idee sulle quali ognuno dice la sua. La volta successiva che ci vediamo uno arriva con una parte scritta, che sia un riff o delle strofe, e da lì costruiamo il pezzo con il contributo di tutti.
Quali sono le dinamiche di gruppo che caratterizzano i Têtes De Bois?
La nostra storia è nata quando eravamo ragazzini, quindi siamo amici da una vita, insieme abbiamo superato anche momenti difficilissimi e questa è una cosa bellissima. Abbiamo deciso che ad ogni concerto diamo la ‘coppa toppa’ a chi ha fatto l’errore peggiore, chi la vince deve pagare la cena a tutti. Siccome è molto umiliante per noi fare errori, è il modo migliore per cercare di esprimerci sempre al massimo. In questo modo chi deve pagare la cena lo fa senza porre nessun tipo di opposizione. Insomma non si discute, chi sbaglia paga e zitto.
Voi passate senza problemi dalla televisione ai centri sociali, ai luoghi di lavoro. È questo il modo migliore per essere popolari a tutti gli effetti?
Se vogliamo scegliere di entrare nelle teste di tutti non esitiamo ad andare in televisione, qualora ci venga offerto, ma a patto che possiamo restare noi stessi. È capitato che ci è stato proposto di fare canzoni che non ci andava di fare, ma siccome abbiamo minacciato di andarcene, alla fine siamo riusciti a realizzare lo spettacolo che avevamo in testa. Non ce ne frega di fare i compromessi, o facciamo come vogliamo o non ci andiamo in televisione. Mai di moda siamo e mai di moda saremo. Secondo noi andare in televisione è un modo per amplificare i nostri messaggi. Ha soltanto questa funzione. Siamo artisti e quello che proponiamo non può avere steccati su dove proponiamo le nostre cose, l’importante sono le cause che ci appartengono.
È stato faticoso scegliere i brani che sono finiti su “Mai di moda”? Quanto vi è costato sacrificare alcune canzoni?
È stato difficile perché abbiamo sacrificato brani che avremmo voluto mettere di “Pezzi di ricambio” e di “Pace e male”, come “Il mercato delle creme” o altre di Ferrè, ma alla fine dobbiamo accontentarci perché trenta canzoni sono tante, la raccolta dura un’ora e mezza, come uno spettacolo.
Girando l’Italia in tante situazioni differenti quali riscontri avete avuto finora rispetto alle reazioni alla crisi?
Moltissima rabbia e moltissima frustrazione. C’è sfiducia e consapevolezza che domani sarà peggio di oggi. Le persone hanno capito che ai figli dovrebbero far giungere il messaggio che staranno peggio dei loro padri. Questa è una cosa assolutamente ingiusta, dunque intollerabile. Le persone hanno capito molto più di quello che è stato loro descritto. Si dovrebbe recuperare ed estendere il valore della decrescita, andando in controtendenza rispetto all’idea che se produco e consumo di più ci sarà più beneficio per tutti.
Se chi comanda pretende che il mio obiettivo sia quello di aumentare il Pil, io sarò indotto a vivere male. Bisognerebbe lavorare sull’idealità, recuperando l’elogio della lentezza e non fare una riforma del lavoro per cui devo fare una pausa pranzo di 23 minuti, strozzandomi dai 20 ai 70 anni, per cosa? Per poi avere uno straccio di pensione. Ma che me ne frega! Rivendico il diritto a fare una pausa pranzo per cui mi prendo il tempo di cui ho bisogno, per godermi anche un caffè.
Per voi c’è un confine un confine tra l’artista e l’agitatore politico?
No, perché dal punto di vista umano si scrivono sempre canzoni di lotta, anche quelle di amore infondo sono canzoni di lotta. Dal punto di vista artistico, invece, la lotta politica o umana è una lotta esistenziale che può diventare arte. L’anima che si sconvolge attraverso le corde dell’arte è una cosa bellissima. La dimensione politica come fatto personale è un grande passo verso la consapevolezza.
Autore: Vittorio Lannutti
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