“It’s just me!”
Cinquant’anni di rock e semplicità
Sono davvero onorata di questo incontro, e di tutte queste domande. Vi aspettate delle risposte da me, ma le risposte vere e proprie le deve trovare ognuno per sé, dentro di sé. I miei possono essere consigli, possono essere opinioni. La risposta giusta deve venire da voi.
Il 19 luglio, il Neapolis Festival, quest’anno per la prima volta a Giffoni, presta una delle sue stelle al Giffoni Film Festival. Il risultato: un’esplosione commossa di stimoli ed emozioni
Patti Smith si dedica a 95 ragazzi tra i 16 e i 20 anni, selezionati tra i giurati del film festival. Hanno a disposizione 60 minuti per porgerle le domande che covano da una vita, è non è un eufemismo. Tutti attenti a ogni suo movimento non tentano di nascondere l’imbarazzo e l’emozione di trovarsi a pochi metri da un’icona del rock che ha fatto la storia, in 5 lunghi volumi.
Le più svariate domande la attendono, dalla religione alle forme d’arte, dal futuro del mondo alla libertà intellettuale, dalla funzione dei video nella comunicazione alla scelta di copertina dei dischi.
Patti, si raccontano molte leggende su di te, anche alcune che ti legano alla religione. Vorrei chiederti se sono vere, se sei realmente così religiosa e se è vero che preghi spesso per e con i tuoi musicisti.
Quel che è vero, senza dubbio, è che ho dedicato la copertina dell’album “Wave” a Papa Luciani, perché era un Papa buono, rispettoso, e volevo rendergli omaggio. Non è vero che prego spesso con i miei musicisti. È successo una volta, un caso eclatante, era il 1969, a Bologna, e al mio concerto c’erano circa 50.000 persone. Un momento di grande gioia, una grande occasione d’incontro, fino a quando l’intervento della polizia non è sfociato in violenza.
Ero così terrorizzata, pensavo a quelle persone che erano lì, ai miei musicisti, ai miei cari, che rischiavano la vita per un momento che doveva rappresentare altro. Ho pensato a cosa potessi fare, ed è stato così spontaneo pregare, non so chi, non so cosa. E ho iniziato a pregare per me, per il pubblico, per i miei musicisti. È così che è andata.
Ho apprezzato molto il tuo nuovo album, “Banga”, che ascolto di continuo. In particolare mi ha colpito la traccia “Seneca”, credo ci sia dentro un continuo bisogno di qualcosa di più, una sorta di ricerca continua. È così?
Sono contenta che ti sia piaciuto il mio ultimo lavoro. Per quanto riguarda “Seneca”, credo che le sensazioni che provi ascoltandolo siano date dall’immedesimazione nel testo. Ho scritto questa ninnananna per il mio figlioccio, che potrà avere pressappoco la tua età, e quello che c’è dentro è un augurio, sì, a cercare continuamente l’essenza delle cose, che è quello che auguro a te e a tutti voi.
Ogni persona ha dei modelli di riferimento, dei “maestri”. Per me tu lo sei tu, ma per te chi sono state le persone che ti hanno ispirato?
È vero che per ogni persona ci sono dei maestri, è molto difficile insegnare, è un lavoro che richiede responsabilità, che pretende la formazione di individui. È molto più semplice imparare, la si può fare sempre e da qualsiasi persona. Chiunque può insegnarci qualcosa, i miei genitori l’hanno fatto con me, ma anche i miei figli mi hanno insegnato molto, e così la gente che ci circonda. Non dimenticare che chiunque può trasmetterci dei grandi insegnamenti.
Cosa ha significato per te collaborare con “La Casa del Vento” (band italiana ex Modena City Ramblers, ndd) e com’è nata “Constantine’s dream”?
Lavorare con questo giovane gruppo di Arezzo è stata un’esperienza molto bella. Per quanto riguarda la canzone, è nata dall’improvvisazione. La notte ho sognato uno scenario apocalittico, una sorta di fine del mondo. Ero stata in giro ad apprezzare le bellezze della vostra terra, ho studiato molto i dipinti, soprattutto quelli di Piero della Francesca, e quando sono arrivata in studio il testo non c’era, è uscito fuori spontaneamente, ed è un testo contro la guerra ma che riflette molto sulla Terra, sulla natura, sui danni che abbiamo causato con la nostra presenza e la nostra disattenzione.
Cosa è diventata adesso la musica e in che misura esprime emozioni? Credi sia cambiata la musica o le emozioni?
Non credo che siano cambiate le emozioni, credo siano cambiate le persone e il modo di fare musica. La musica oggi è più sofisticata, a volte anche le emozioni vengono usate, per fare soldi, per attrarre attenzione. Ogni generazione traduce nel proprio linguaggio il modo in cui vive le proprie emozioni, noi lo facevamo in modo diverso, ma non vuol dire che il nostro sia un modo universalmente giusto. Quello che posso dirti è che ognuno deve arrivare alle proprie emozioni e credere nelle proprie idee. E se non trovate riscontro e nessuno vuole realizzarle per voi, trovate il modo per farlo, da soli.
Cosa ti porta a venire così spesso in Italia e qual è la ragione che ti ha spinto a stare qui così tanto tempo?
La cultura, senza dubbio, che sia arte, architettura, storia. Piero della Francesca, Pinocchio, il primo libro che ho letto da bambina, il vostro spessore culturale, talmente profondo. Il caffè, la pasta e i santi. Ci sono moltissimi santi, anche quando si gira nei paesi più piccoli, a un certo punto compare un piccolo altare con un santo. I santi sono ovunque!
E non dimentichiamo Totò!
Nei tuoi cinquant’anni di musica ti sei trovata davanti a dei miti della cultura musicale. In particolare, com’è stato conoscere Janis Joplin e cosa ti ha ispirato.
Janis Joplin era una performer elettrico-emozionale. Era energia allo stato puro. Io ero molto più piccola di lei quando ci siamo conosciute, ma non ho mai voluto essere come lei. Le era troppo triste, aveva il cuore in pezzi, aveva una tendenza all’autodistruzione. Ma aveva una grandissima carica energetica, potrei paragonarla a Tina Turner per la sua energia, ma lei era troppo piena di gioia, di entusiasmo.
Il cambiamento culturale e di tendenza nell’ambito musicale ha portato alla nascita diforme d’arte collegate, come i video, spesso utilizzati in modi impropri. Cosa pensi di questo fenomeno, e soprattutto quanto pensi che perda, o guadagni, una canzone con un video?
Ci sono grandissimi artisti, come Craig David, che credono che i video siano nocivi alla diffusione delle canzoni, che tolgano qualcosa alla canzone della sua carica emotiva. La realtà è che negli anni ’80 -’90 i video sono diventati troppo importanti e noi dobbiamo fare i conti con questa realtà.
Possiamo realmente giudicare l’evoluzione o involuzione musicale in base a questo criterio?
Ma la realtà in cui viviamo è questa, e la gente decide la direzione in cui evolve la cultura. Credo che ci sia comunque modo e modo di fare cultura e modo e modo di servirsi dei video. Pensate anche ai video come apporto alla cinematografia. Ci sono registi che hanno elaborato video grandiosi e sono partiti da lì per poi affermarsi ad alti livelli. Anche questo è un modo di fare cultura, e farla con qualità. Probabilmente non ci si arricchisce, ma è un modo per essere ricordati per quello che si ha fatto, come è stato per William Blake.
È giusto lasciarsi ispirare dalla cultura e dalla tecnologia, l’importante è non lasciarsi dominare.
Da anni scrivo poesie, le scrivo per me, e sperimento sempre quella sensazione d’incapacità. Mi chiedo e ti chiedo come sia possibile fare poesia rispettando l’onestà intellettuale, senza farsi condizionare da quello che ci arriva, da deviazioni non-culturali, e trovando il proprio spazio all’interno della società.
La difficoltà più grande della poesia non è tanto riuscire a lasciare il mondo e le contaminazioni all’esterno, quanto trovare la propria voce all’interno, arrivare al nocciolo della questione. Nessun artista sarà mai soddisfatto della propria opera, penserà sempre che potrebbe essere migliore, che potrebbe diventare un’opera d’arte. È un apprendimento che dura tutta la vita.
Se hai qualcosa da dire, e ne senti l’urgenza, butta il superfluo, le cose inutili, e arriva dritta all’essenza.
Quale credi sia il rapporto tra musica e poesia?
Non sono una musicista, sono una cantante. Io canto e penso come una scrittrice, e percepisco la solitudine della scrittrice. Trasformo le mie poesie in canzoni, ma non posso essere ermetica come una poetessa, perché la musica è comunicazione, e in quanto tale l’obbiettivo è che possa arrivare a tutti. I miei messaggi non sono poetici, in senso stretto. Per cui non saprei rispondere a questa domanda.
Ti è mai capitato d’imbatterti in un soggetto per un film?
No, non ho mai trovato per caso questa suggestione, ma da tempo ho un soggetto per un film: un cherubino di San Severino. Era il mio compleanno, faceva freddo ma era una bella giornata di sole, e a un certo punto, all’improvviso, è arrivata una tempesta di neve, e in quel momento ho pensato che il mondo stesse cambiando, che il mio mondo stesse cambiando, e ho pensato a questo cherubino.
So che quest’aneddoto non risponde alla tua domanda, ma mi faceva piacere condividerlo con voi.
Patti, nel ’68 il rock ha fatto la rivoluzione, è stato, tra gli altri, il vostro strumento. Ha creato aspettative, è diventato mezzo per portare avanti le vostre idee. Oggi invece tutti ci raccontano che il mondo va a rotoli e che non c’è speranza nel futuro. Voglio chiedere a te se credi che questa speranza ci sia, per noi, di ribellarci.
Assolutamente sì! Non dovete credere a quello che vi raccontano, io sono convinta che la vostra generazione sarà quella che cambierà il mondo, che salverà la Terra dal riscaldamento climatico, a volte è come per le canzoni, basta un solo accordo per farne una, ma bisogna trovarlo. È così, avete bisogno del vostro accordo, e se sarà necessario combattete contro tutto e tutti. Combattete contro il Governo. Ho 65 anni, ho lavorato in fabbriche e librerie, e ho visto anche i miei figli fare lavori di fortuna per mettere da parte i soldi per una chitarra nuova. Se avete un sogno, seguitelo. Se avete un’idea, realizzatela. E non vi aspettate niente dagli altri, se viene qualcosa di buono, bene, altrimenti pensate che da soli potete farcela!
Patti, sei una persona così poliedrica, così attenta alle forme d’arte. Vorrei sapere cosa ruota intorno all’immagine di copertina del tuo album “Horses”, e come credi sia il rapporto tra musica e fotografia.
Per quanto riguarda il rapporto tra musica e fotografia, potresti rispondere tu a questa domanda, fare degli esperimenti, delle prove, delle ricerche. Ai tempi dell’uscita dell’album “Horses” non pensavamo a tutto questo, volevamo solo che nella copertina ci fossimo io e Robert, non c’era niente di studiato. Ho chiesto a Robert se voleva fare la foto per la copertina e ci siamo messi lì, e io pensavo a noi, a Rimbaud, a Baudelaire, e lui scattava. Non eravamo famosi a quei tempi, come molti altri che lo sono diventati poi. Eravamo solo dei rivoluzionari.
Cos’è per te la felicità?
Sono felice adesso! Sono felice di incontrare persone felici. Sono felice ai miei concerti, sono felice guardando questo succo di frutta al mirtillo, perché mi piace il colore. È energia positiva. Sono felice senza troppi fronzoli.
Nella mia tesina all’esame di stato ho inserito la beat generation, e durante il mio esame orale la professoressa mi ha chiesto cosa fosse, non ne aveva mai sentito parlare. Cosa credi che ci possano insegnare e trasmettere persone che non conoscono un movimento così grande e importante?
Se gli adulti non conoscono la Beat Generation, se la tua insegnante non sa cosa sia, insegnaglielo tu! E sicuramente lei sarà in grado di insegnarti cose a lei più congeniali, cose che saprà meglio di chiunque altro. È questo il punto fondamentale di questo scambio. In fondo la Beat Generation insegna cose che vi può insegnare chiunque, le potete apprendere da Pasolini, ad esempio. Ogni uomo ha le proprie referenze.
Quello che abbiamo detto noi, e che continuo a dire io, è scritto anche nella Bibbia: “Amatevi l’un l’altro”.
L’emozione di tutti è tangibile. Un’icona del rock, una donna che ha fatto la storia della musica negli ultimi cinquant’anni, non ha ancora esaurito gli insegnamenti. La sua grandezza sta nella semplicità, nelle canzoni con un accordo solo, che tutti possono suonare, riprodurre, ma ognuno a suo modo. È forse questo il segreto che rende Patti Smith così speciali agli occhi di diverse generazioni. È forse questo che fa spuntare il sorriso sul volto chi chiunque la incontri. Quell’energia che dice di non aver voluto emulare da Janis Joplin l’ha incamerata, modellata, assorbita, e si avverte. È uno scambio reciproco di insegnamenti, di energie positive, di linfa e di coraggio.
Autore: Serena Ferraiolo
www.pattismith.net