È da poco uscito il suo nuovo album, “Dalla Parte Del Torto”. È risalito sul palco con un nuovo spettacolo musical-teatrale tratto dai suoi nuovi brani, “La Febbre”.
È Giulio Casale, ex leader degli Estra, partito dal rock e sfociato nel cantautorato come compositore, nel teatro come attore, nella letteratura come autore. Per l’occasione l’abbiamo intervistato.
Ciao, Giulio. Come va?
Bene. Sono vivo. Tu?
Sopravvivo.
No, no. Io mi sento vivo. Ecco. Non solo vivacchiante.
“Vivacchio” (canzone inclusa nel suo album “In Fondo Al Blu”, ndr). Partiamo dal disco, “Dalla Parte Del Torto”: come lo descriveresti e cosa c’è di diverso rispetto al precedente “In Fondo Al Blu”?
“In Fondo Al Blu” era un disco nato già quasi interamente, non del tutto, come colonna sonora di uno spettacolo teatrale, il mio primo. In realtà secondo, se “Sullo Zero” è stato il primo. È stato il secondo spettacolo teatrale, che nessuno ricorda mai nelle biografie. Ma non importa, io so che è andata così. Poi è arrivato Gaber. Molto poi. Invece “Dalla Parte Del Torto” è nato come un disco, cioè come una raccolta di canzoni, con un suono, con un’idea di produzione, come un progetto discografico. Ecco: è nato solo per la discografia. Poi io ne trarrò uno spettacolo, ma questo è un viaggio mio. Il disco deve poter essere ascoltato come un album, come 12 canzoni, 12 tracce inedite di Giulio Casale.
Cos’è cambiato in questi 7 anni di distanza dall’ultimo album, sia in te personalmente che nel mondo che vivi e ti circonda? E pensi che il mondo che ti circonda in qualche modo ti formi?
Certo. Anzi, se vuoi “Dalla Parte Del Torto” è proprio un gesto reattivo, un gesto rock nei confronti del mondo, non tanto nei miei confronti. Non parlo di me, non è autobiografico. Nemmeno quando dico “Apritemi” sono autobiografico. Quello che è cambiato è lo scenario. Cioè, lo scenario è sempre più degradato e degradante, e sempre, se vuoi la citazione, più mistificato e mistificante (“La Mistificazione”, brano incluso nell’album, ndr).
Per cui io reagisco a questo. L’unica violenza ideale che mi concedo è di parlare a nome vostro, cioè parlare a nome di qualcun’altro, quei pochissimi che magari hanno lo stesso mio sentire rispetto a questo disastro culturale in cui siamo immersi. L’ho sempre detto. Sono cose che ho sempre detto in qualche modo. In modo diverso, ma in ogni mio spettacolo teatrale c’era questa analisi. La differenza è che oggi scelgo la discografia per dire questa cosa, e la scelgo proprio per il fatto che non si vende più un disco, che nessuno va più nei negozi di dischi, ecc, ecc. Cioè proprio per essere definitivamente dalla parte del torto.
Un aspetto che non viene mai sottolineato rispetto ai tuoi lavori è la sperimentazione che utilizzi sulla voce, dal lavoro in studio con le sovraincisioni, spesso in ottave, una cupa e una alta, espediente che è diventato tuo marchio di fabbrica, a vocalizzi quasi onomatopeici dove sfrutti la voce a mò di strumento. Mi torna alla mente Demetrio Stratos o comunque il canto per armonici di tante culture a noi in parte lontane.
Questa è una domanda bellissima. Sono grato alla tua sensibilità. La risposta è già nella tua domanda. Per me un cantante deve usare lo strumento: deve essere, deve farsi strumento, per cui piegare il proprio strumento alle necessità a cui, di volta in volta, la canzone ti costringe. La canzone è una gabbia ferocissima. Ti costringe a stare dentro quella gabbia. Sei tu stesso, da artigiano, che te la costruisci quella gabbia, ma dentro quella gabbia devi dare tutta la gamma espressiva che c’è in quella canzone. Naturalmente secondo me senza cedere al birignao, senza cedere all’effetto per l’effetto, avendo comunque un rigore, cercando comunque un’eleganza. Però se un cantante non usa il suo strumento non è un cantante. Infatti secondo me ci sono molti bravissimi scrittori di canzoni, cantautori, voglio dire, che però molto raramente ti fanno sentire lo strumento. Cioè si limitano a dire. Per me è poco. Anche quando ascolto gli altri ho bisogno di ascoltare un cantante, se no l’emozione rimane un po’ lì. Cerco di condividere la mia stessa emozione nel cantare, ecco. Mi piace molto il riferimento che hai fatto agli studi sugli armonici, ma questo ci porterebbe davvero lontano.
A questo proposito mi viene da pensare che troppo spesso chi recensisce musica di musica non ne capisca mica poi così tanto, se gli sfuggono determinati aspetti importanti come questo. E le recensioni sui tuoi lavori, sia da solista che con gli Estra, sono indice di questo: non sono stati mai valorizzati abbastanza anche in contesti come quelli dei media. Sei contento delle recensioni avute fino ad ora con “Dalla Parte Del Torto” o ci sono aspetti dell’album che avresti voluto fossero sottolineati ma non è accaduto?
Io non mi lamento, non sono vittima del mio tempo. Sono uno dei tantissimi esseri umani viventi in questo preciso momento storico. So che ero vivo anche quando ero leader degli Estra, mentre nessuno se n’è accorto, si fa per dire. Come dire, non posso soffrirne e non devo soffrirne. L’importante è dare ogni volta tutto quanto tu hai dentro, cercare di metterlo a fuoco il più possibile. Io so cosa ho fatto con questo “disco bianco”. Se qualcuno se ne accorgerà sarò felice. Se qualcuno vorrà condividerlo nei concerti. Quante poche persone escono di casa, per esempio. Se qualcuno scenderà per strada, pagherà un piccolo biglietto e verrà a vedermi in concerto o negli spettacoli teatrali che d’ora in poi farò, quella è la mia gioia. Ognuno poi prende quello che può, no? Come diceva Fossati “chi si guarda nel cuore sa bene quello che vuole e prende quello che c’è”. Questa è la saggezza, ma non è la mia. Dovrebbe essere quella delle persone. Delle persone vive.
Se permetti però mi incazzo io al posto tuo, perché tu, sia come solista che con gli Estra, meriteresti e avresti meritato molto di più. A mio avviso gli Estra valevano molto di più di tante altre band che sono state ultraosannate. Invece abbiamo visto un capolavoro come “Nordest Cowboys”, che dovrebbe essere uno dei capisaldi della musica italiana, passare quasi inosservato agli occhi (o per meglio dire “alle orecchie”) di stampa e pubblico.
Ma guarda, io ti ringrazio tantissimo, ma ho una certa mia fiducia nel fatto che la cose vanno come devono andare. Voglio dire, ogni tempo è un tempo. C’è stato un tempo per tutto. Adesso siamo in un’altra fase storica e non posso che guardare a questo in questo momento. È chiaro che anch’io posso condividere la tua rabbia, ma non voglio vincere nessuna gara di chi è più rabbioso. Il rock è sempre stato dalla parte del torto, e quindi se non riesce a farsi strada nell’immaginario collettivo è perfino giusto così. Lo dico paradossalmente, ovviamente, ma vuol dire che sei scomodo. Veramente. Vuol dire che chi decide, penso ai grandi network, ai grandi mezzi d’informazione, ti riconosce come corpo estraneo. E quindi è tutta lì la sfida, e bisogna continuare ad accettare la sfida. Sei un corpo estraneo, lo sai, ma ti auguri di incontrare la maggior quantità di persone, e non di pubblico, e non di fan, e non di groupie, la maggiore quantità di persone possibili. Faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità perché ciò accada, ma non è quello l’obiettivo. L’obiettivo è lavorare per la bellezza e non per esercitare potere. Se tu mi chiedi come mai non sono diventato un uomo di potere è perché è nella mia verità fisica, biografica, spirituale.
Ti sei poco fa riferito al tuo nuovo album, “Dalla Parte Del Torto”, chiamandolo “disco bianco”. Mi viene a questo punto da pensare che quindi anche il #9 della reprise acustica di “La Tua Canzone” è un omaggio ai Beatles.
Assolutamente. Però non è necessario che nessuno se ne accorga. (ride)
A questo punto vorrei muovere una piccola critica all’album. Posso?
Io spero che sia grande questa critica.
Nonostante le canzoni siano come al solito ai livelli a cui ci hai abituato, “Dalla Parte Del Torto”, a mio avviso, risente molto dal punto di vista di arrangiamenti e produzione, che non riescono ad interpretare al meglio le intenzioni dei brani, che dal vivo rendono molto di più. Mi viene in mente “Personaggio Comune” in particolare, che non riesce ad “esplodere” come dovrebbe.
Guarda, con Giovanni Ferrario abbiamo fatto un lavoro veramente enorme. Cioè, proprio la quantità di energia dedicata proprio al suono, alla ricerca del suono, che è un lavoro molto lungo, molto prima di incidere il suono definitivo. E io di questo sono infinitamente grato, alla vita ma a Giovanni innanzitutto, che è uno dei migliori musicisti italiani in assoluto, e non temo smentite. Il disco è volutamente eccessivo, è volutamente ambizioso dal punto di vista appunto delle sonorità. C’è un tale spettro sonoro, una tale profondità di suono, che non può che turbare, per lo meno ai primi ascolti, l’ascoltatore. Questo io lo so. Ma ho accettato anche questo rischio: quello di sembrare magniloquente, di sembrare esagerato, no? Di non sembrare essenziale. E invece se c’è una cosa a cui tendo, come persona, è proprio l’essenzialità, è proprio la semplicità, come punto di arrivo, come punto utopico di percorso personale. Bisogna diventare molto semplici. Più si cresce e più bisogna tendere a questa semplicità. Ma il punto è, come in “Tunnel Supermarket”, che non fu mai capito ed è giusto che sia andata così, che stavamo cercando il suono del nostro tempo. Di questo giorno qui, marzo 2012, dico. Non del 900. Proprio del 2012. Allora per cercare quel suono abbiamo sperimentato, ci siamo messi in discussione, non abbiamo dato niente per scontato. Sicuramente ci sono degli errori nel disco, ma sarebbe a dire che sono voluti, ecco, cioè che c’è un eccesso di sperimentazione. Tanto di più non mi interessa nemmeno essere premiato per la sperimentazione, perché io sono uno scrittore di canzoni e credo nelle canzoni. E “Personaggio Comune” è una canzone, e sta in piedi anche solo voce e chitarra, per cui dipende che vestito le metti addosso. Noi abbiamo addirittura citato i Talk Talk, ma consapevolmente, in quella canzone, perché ci sembrava il momento per farlo. Ogni cosa è criticabile, ma ogni scelta è stata molto ponderata da noi.
Però a mio avviso “Tunnel Supermarket” è un grande album che, a parte forse la cover di “The Passenger” di Iggy Pop (“Sei Così Semplice”), che non rende al massimo, vanta quanto di meglio abbiate mai scritto con gli Estra. Lo metto sicuramente al secondo posto dopo “Nordest Cowboys” fra i vostri album.
No, secondo me invece ci sono stati degli errori. Però è una mia opinione. Oggi non scriverei certi versi, per esempio. Ma è solo un esempio, ecco. Certi versi di quel disco per esempio oggi non mi piacciono più. Ma è un mio percorso, non pretendo che sia quello di nessun altro.
Ho potuto ascoltare “Dalla Parte Del Torto” dal vivo alla Salumeria della Musica di Milano, locale non proprio consono ad un concerto rock, sia come struttura che come pubblico: posso chiederti come è stata scelta la location?
Per esclusione. Milano, che è una città meravigliosa, ha, tra i tanti problemi, anche il problema che non c’è più un posto dove suonare. E quindi per esclusione abbiamo scelto La Salumeria della Musica, ben sapendo cos’era, in quali condizioni tecniche ci saremmo trovati a suonare, ecc, ecc. Si prende quello che c’è. Io sono molto meticoloso e scrupoloso in ogni mia scelta. Quando posso sono terribile. Lavoro sul dettaglio, dico, sul minuscolo. Ma questo è quello che c’era. Se fossimo andati a suonare al Blue Note sarebbe stato peggio, o no?
Probabilmente, però avresti potuto anche prendere una scelta diversa e portate il tuo live magari in un centro sociale. Penso ad esempio al Cox18.
Certo, infatti l’opzione che abbiamo valutato a lungo era quella di un centro sociale. Non è andata in porto per un insieme di ragioni. Ma noi l’abbiamo valutata molto seriamente quella ipotesi. E comunque si tratta solo di una presentazione di un disco. Quando faremo le tournée in estate e poi in autunno, inverno, 2012, 2013, secondo me andremo a suonare nei posti più confacenti, ecco. A costo anche di rimetterci dei soldi, sia chiaro, perché tanto va così. Non va in un altro modo. Non c’è business. Il business è finito. Non c’è più business per nessuno. Per cui voglio che sia chiaro: non è un fatto di business.
Su questo non ne avevamo dubbi. Parlando ancora di quel live, guardando alla maggior parte del pubblico che c’era mi viene in mente questa tua frase: “E mostre d’arte che non puoi non vedere”. In questo senso mi capita sempre più spesso di trovarmi, anche a concerti rock, dove si va appunto per l’evento, non per ascoltare la musica, per condividere della musica. Capita di vederlo anche a te?
Guarda, è una sensazione che ho provato sempre. Ti faccio un esempio: nel 1990 sono andato alla prima del tour del disco “Le Nuvole” di Fabrizio De André. Lui fece, ovviamente, “La Domenica Delle Salme”, e tutte le prime file, tutte le prime file a gratis, quindi autorità, politici, giornalisti, questa roba qua, si alzò in piedi, alla fine de “La Domenica Delle Salme”, tributando una standing ovation al nuovo gioiello scritto da Fabrizio De André. Scritto tra l’altro non da solo, ma questo non c’entra niente. Cantato da Fabrizio De André in quel momento. Bhé, io questo senso di schifo, proprio di rifiuto, perché quando è moda è moda, diceva Gaber, e quando è merda è merda, ce l’ho da sempre. Cioè, voi siete lì, i pochi che contano 100 mila lire, e non avete nessuno di voi pagato una lira. Voi siete corresponsabili del disastro che sta cantando in questo momento il vostro poeta preferito. E a me questo dà molto fastidio. Non avere il benché minimo senso per lo meno di vergogna. Lui sta parlando di voi e a voi. Siete voi che avete ridotto il mondo così: i banchieri, i finanzieri, i politici, i direttori dei giornali, i direttori dei telegiornali italiani. Sta parlando di voi, e “La Domenica Delle Salme” è vostra. Siete voi che portate sulle spalle la cassa, la bara con scritto sopra “Italia”. Ecco, spero di aver risposto alla domanda.
Decisamente. Grazie, Giulio, sei stato gentilissimo e spero di poterti vedere al più presto di nuovo dal vivo.
Noi il 5 aprile abbiamo debuttato al Teatro Litta di corso Magenta a Milano con uno spettacolo che si chiama “La Febbre”, con al suo interno solo le canzoni contenute in “Dalla Parte Del Torto” abbiamo terminato il 30 Aprile poi ci sarà il tour estivo.
Autore: Giuseppe Galato
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