Era il 1997 quando tre ragazzi mascherati di Pordenone prorompevano sulla scena musicale italiana con la freschezza adolescenziale del punk di “Piccolo Intervento A Vivo”.
Dopo 13 anni, nel 2010, la “rinascita” reggae dalle venature dub della band con “Primitivi Del Futuro”.
I Tre Allegri Ragazzi Morti sono pronti a portare la loro nuova veste sonora in levare in Campania con due date live.
Il 9 suonano all’Indie Mon Amour, sulla spiaggia di Agropoli (SA), luogo idoneo per un concerto reggae, durante il quale divideranno il palco con i Tough Tone, altra realtà reggae campana, e con i Vegetable G.
Il 10 è la volta del People Involvement di Frigento (AV), insieme a One Dimensional Man, Iosonouncane, Vegetable G e Onirica.
Con Enrico Molteni, bassista della band, abbiamo parlato dei loro cambi di rotta, di Pasolini, di Clash, de La Tempesta, del mondo, di natura, di animali e dell’essere umano.
Siete tornati alla ribalta dopo “La Seconda Rivoluzione Sessuale” con un album reggae, “Primitivi Del Futuro”, lasciando un po’ tutti a bocca aperta. A più di un anno dall’uscita di “Primitivi Del Futuro” avete nuovi brani pronti? Se si, sono sempre reggae o avete avuto un ennesimo cambio di rotta?
I pezzi non saranno reggae, anche se qualcosa dell’esperienza in levare ci è rimasta addosso, quindi cercheremo di tenere il buono dell’esperienza anche nel prossimo disco.
Qualcuno, con questa svolta dal punk al reggae, vi ha paragonati ai Clash: lo sentite vostro il paragone?
È un paragone azzeccato, anche se il confronto con la storia è sempre in un certo senso imbarazzante.
Siete partiti dal punk attraversando fasi anche vicine al cantautorato, dalla new-wave de “Il Sogno Del Gorilla Bianco” alla mistione di generi de “La Seconda Rivoluzione Sessuale” fino al reggae: ci sono altri generi musicali con cui ancora non vi siete cimentati ma che vi piacerebbe suonare?
Un suono che piace a tutti e tre ma che fatichiamo a metabolizzare ed esprimere in forma canzone è la musica africana. Rimaniamo spesso incantati ad ascoltare i dischi o gli speciali di Radio3 sul genere.
Rispetto ai vostri primi album, dove nei testi affrontavate tematiche più legate al vissuto personale dell’individuo e alle problematiche dell’adolescenza, siete arrivati a parlare in maniera sempre maggiore di problematiche sociali, globali, che potrebbero essere definite “politiche”: com’è stato questo percorso?
La risposta che più spesso si legge ultimamente nelle interviste, nel bene e nel male, è internet! Insomma, in questo caso credo che molte distanze, per quanto in modo virtuale, si siano notevolmente accorciate, spesso mi ritrovo a pensare a me stesso al plurale. So che là fuori ci sono persone che vivono come me, Google+ parlerebbe dei cosiddetti “circles”. Una volta ci si riconosceva in uno scrittore, ora lo scrittore si fa portavoce della sua gente.
Oltre a portare in giro il vostro repertorio mettete in scena anche uno spettacolo su Pier Paolo Pasolini (Davide “Eltofo” Toffolo, chitarra e voce della band nonché fumettista, ha anche scritto e disegnato una graphic novel su Pasolini): cosa dovrebbe imparare da Pasolini l’uomo degli anni 2010?
L’aspetto che più mi colpisce di Pasolini e di cui sento maggiormente la mancanza nell’Italia di oggi è la lucidità critica, lo sguardo e l’analisi dei tempi che corrono. Nessuno come lui saprebbe essere il faro di chi, come molti, non riesce più ad orientarsi.
Quali sono il tuo libro e il tuo film preferiti di Pasolini e perché?
Conosco meglio l’opera cinematografica, amo moltissimo “Il Vangelo Secondo Matteo”. Azzera le distanze. Poi apprezzo molto le poesie in friulano, anche se non conosco abbastanza la lingua per poterle amare del tutto.
Una delle frasi di Pasolini che più mi ha sempre affascinato è “la parola speranza è cancellata completamente dal mio vocabolario”. Con questa frase Pasolini si riferiva al fatto che il processo di massificazione, con tutte le sue conseguenze, sembra(va) essere un qualcosa di irreversibile: voi che idea vi siete fatti su questa sua dichiarazione? Perché il processo di massificazione resiste?
Siamo animali sociali e stiamo lentamente diventando tutti uguali. Appena verranno abbattuti gli ultimi muri sociali (età, razza, sesso…) il lavoro sarà compiuto. Ci ritroveremo divisi da presupposti gusti ma fondamentalmente uguali come in un film di fantascienza. Non lo vedo come un aspetto negativo, è troppo complesso da giudicare. Inoltre alcuni aspetti come il campanilismo saranno duri a morire!
A mio avviso “cancellare la parola speranza” ha anche una certa valenza positiva e ottimistica: chi vive sperando si crogiola appunto nella speranza di un miglioramento; chi non lo fa ha dalla sua parte la possibilità di lottare per il miglioramento. “La speranza è una trappola”, in questo senso, per citare un altro grande cineasta italiano, Mario Monicelli. Mentre voi cantate “E non è il destino, sei tu il tuo nemico”, come a dire che tutto ciò che accade di brutto nel mondo è colpa dell’essere umano, che però sembra non rendersi conto di questo giustificando in questo modo i propri fallimenti. Le masse, che sono poi quelle che fanno la differenza, hanno il potere per attuare un grande cambiamento sociale: ma come si fa a far aprire gli occhi alle masse assoggettate dai media in modo da attuare un effettivo miglioramento della “qualità della vita”, per citare un altro vostro vecchio brano?
Siamo alla filosofia sociale! Citerei quindi il filosofo Jacopo Lietti: “Ho chiamato i miei insuccessi sfortuna, maledetta sfortuna”.
“Prendi a calci il tuo padrone, smettila di comperare, stacca la televisione: non lo fai”: perché “non lo fai”?
Vuole essere uno schiaffo, un richiamare l’attenzione su quelli che sono i valori della vita. E rimane una canzone, sia chiaro.
“I fiori sono morti e le more avvelenate, senza pensarci troppo hanno usato il trattamento, ho provato a dirlo agli altri, guardate che sbagliate, se il grillo torna al campo anche voi ci guadagnate, hanno ammazzato i grilli, sterminato le formiche, esiliato talpe e topi” , e ancora, “Guarda il cielo, è rovinato, guarda il campo, è rovinato, guarda il mare, è deturpato, guarda l’uomo”: una tematica ricorrente nei vostri testi è l’attaccamento alla natura, in “Primitivi Del Futuro” mostrata deturpata dall’essere umano. Perché l’essere umano inquina? Com’è possibile che le aziende inquinino il mondo con rifiuti tossici di ogni genere, legalmente o illegalmente, con così tanta facilità, come se il mondo non appartenesse anche a loro? Perché i governi o le forze dell’ordine insabbiano tutto? Perché l’uomo medio non si indigna? Siamo tutti schizofrenici a perpetrare, in questo modo, la fine del pianeta e la nostra stessa fine?
Qualcuno dice che verremo ricordati come quella generazione che ha lasciato tutta quella plastica in giro. Mi fa ridere, ma credo sia un problema enorme che nessuno ha deciso di risolvere in modo concreto. Le abitudini sono difficili a morire.
Fra le vostre tematiche ricorrenti ci si imbatte spesso ne “l’animale” come esempio da seguire: cos’ha dimenticato l’essere umano del suo essere animale e come fare per riacquistare quel modo d’essere?
Il reticolo di convenzioni sociali è così fitto che non vogliamo e non dobbiamo tornare indietro. L’essere umano è un animale intelligente, basterebbe forse ricordarsi di essere semplici e sinceri.
“Se ti sembrasse tutto nero come il mondo intorno è”: c’è un’aria molto più pessimistica in “Primitivi Del Futuro” o è solo una mia impressione?
È vero, è un disco blu scuro, che contiene però alcuni elementi e strumenti per reagire.
Quando si parla di reggae spesso si è quasi costretti a parlare di rastafarianesimo, secondo alcuni spesso o quasi sempre in maniera sconsiderata, visto che pare sia una religione molto più intollerante (verso gli omosessuali) di quanto gli ascoltatori di reggae italiano vogliano far credere elargendo messaggi d’amore: qual è il vostro punto di vista sul rastafarianesimo e sulla religione in generale?
I nostri insegnanti di reggae ci hanno anche spiegato quanto sia intollerante la religione del rastafarianesimo. Rimane il fatto che la religione è un elemento fondamentale in ogni cultura, bisogna credere in qualcosa di più grande di noi per vivere
Con La Tempesta siete diventati una delle più grandi realtà musicali italiane: ci sono novità, produrrete nuovi artisti prossimamente?
Abbiamo in cantiere i nuovi lavori di Giorgio Canali, The Zen Circus, Sick Tamburo.
Con il cast de La Tempesta fate dei live chiamati La Notte Della Tempesta, fino ad ora tutti al nord e molto sporadici: avete mai preso in considerazione l’ipotesi di partire in tour portando La Notte Della Tempesta in tutta Italia?
Non si può fare, questo tour brucerebbe le date di ogni singolo artista. Una volta all’anno può bastare, un po’ come i mondiali di calcio ogni quattro.
Progetti attuali e futuri?
Fare un altro disco bellissimo con gli Allegri!
Autore: Giuseppe Galato in collaborazione con GiornaledelCilento.it
www.treallegriragazzimorti.it/