“E’ in questi momenti che, nella sua imbarcazione,
il vagabondo prova sommessamente verso il mare
un sentimento filiale e fiducioso,
come di terra;
lo considera come altrettanto suolo fiorito;
e la nave lontana pare avanzare a fatica non attraverso gonfie ondate
ma attraverso l’erba alta di una prateria ondeggiante”
Il vento di Chicago, il fiume di Londra e a Napoli, il mare. Queste le tappe toccate da “La stessa barca” , nuovo disco dei 24 Grana e diario di navigazione degli ultimi due anni della band. Francesco Di Bella, sorta di capitano immaginario del naviglio, tradisce il candore del debutto. Lo incontriamo a Londra, tra poche ore sarà sul palco del 93 Feet East, esordio londinese del nuovo tour. Il disco è stato registrato negli Stati Uniti con un produttore d’eccezione, Steve Albini, nel corso di due settimane di lezioni americane.
“Questo lavoro è nato dalla voglia di registrare in presa diretta – spiega Di Bella – C’era la possibilità di coinvolgere Albini, ci piaceva la sua filosofia dritta all’essenziale e così siamo partiti. Tutto si muove attorno ai tre elementi cardine del gruppo, la chitarra di Giuseppe, il drumming di Renato e il mio modo di scrivere.”
Il risultato è un suono diretto che colpisce fin dai primi ascolti. “Le produzioni indie italiane degli ultimi anni sono tutte molto patinate, senza sporcizia. Penso ai Baustelle, agli After, ai Marlene. Noi ci muoviamo in un segmento di mercato ristretto, facciamo quello che ci piace. Alla fine abbiamo provato a sperimentare in senso opposto, non sapevamo dove saremmo andati a finire, ma valeva la pena tentare”.
Il titolo ha un che di collettivo, comunitario. “Si chiama la stessa barca perchè ci siamo trovati tutti e tre molto solidali ad affrontare alle soglie dei 40 anni ancora una volta un progetto musicale. Chi fa questo mestiere come noi non sa esattamente l’anno dopo che succederà”.
Il senso di tutto resta lo scambio, il dialogo col pubblico, da sempre una delle caratteristiche del gruppo. “Abbiamo girato praticamente tutta la Campania e ne siamo fieri, ma non tanto di noi stessi, quanto dei ragazzi del territorio. I 24 Grana hanno un autocoinvolgimento con chi li segue, un ritorno che ci fa continuare”.
Il disco è una galleria di storie e personaggi nati dalla strada e raccontati sulle colline della costiera amalfitana, dove Di Bella ha scritto i pezzi. C’è anche un brano che parla di carcere. E’ una cronaca triste, particolarmente nera. Malevera si è dischiusa col tempo – spiega Francesco – all’inizio non volevamo dire che era per Stefano Cucchi, poi con il lavoro di controinformazione fatto dalla sorella abbiamo deciso che era giusto. Il pezzo è antistato, parla di abusi e di prigione. Se sei innocente, se sei uno qualunque, se non sei un boss, nessuno saprà mai che ti succede là dentro. Noi raccontiamo come si comporta talvolta lo stato con i piccoli, con i normali”.
Altra storia difficile è quella di Salvatore. Uno sballato, che tira e crea guai. “Parlo di contesti difficili per trovare umanità. Mi serve per le storie che producono coscienza. Bisogna stare attenti a giudicare uno come Salvatore prima di estrometterlo. Stare sulla stessa barca con lui è una situazione che ci appartiene. E se non lo capiamo amputiamo la possibilità di remare verso un approdo”.
La navigazione immaginaria è una panoramica che non abbandona mai Napoli. E Francesco la guarda da ogni parte. La racconta e la vive. “L’asse mediano, che attraversavo ogni giorno per andare in sala prove a Giugliano, dà un punto di vista fantastico. Si vede Napoli nuda e cruda, molto diversa dalla cartolina di San Martino. Facciamo musica di tradizione angloamericana, ma nelle canzoni c’è il nostro dialetto, le storie e i personaggi delle nostre parti. Sono cose che ci appartengono fisicamente. É il discorso dell’energia, della passione e della vita intorno a noi. Per questo una delusione di chi ci ascolta sarebbe una delusione nostra.”
Il discorso è contaminato. Il disco è crudo, sa di rock. America e ritorno. “E’ difficile descrivere lo stato di grazia in cui eravamo– spiega Alessando Innaro, nuovo bassista che ha sostituito Nando Cotugno – Quando registrammo “Chiudo cu’ ttè” il pezzo bonus del vinile, Steve Albini ci disse che non aveva mai inciso nulla di simile. C’è questo stile anni trenta col dialetto. E lo stesso è successo quando abbiamo fatto la compilazione. Chiudevo gli occhi, finiva il pezzo e dicevo Ok, questo è il momento. Il mondo analogico ha una magia senza tempo… io sono morto e sono stato in paradiso. A Chicago.”
Chiusa la parentesi si passa nel Regno Unito, tappa a Londra per il primo concerto. E poi casa. Napoli-Calling. Tra Clash e Quartieri Spagnoli. “Noi siamo diversi dagli inglesi e dagli americani – ribadisce Di Bella – non abbiamo una scena e non l’avremo mai. Ci serve una musica dove ci possiamo identificare. Dobbiamo fare una i conti con quello che è il nostro bisogno territoriale,
Nel disco c’è una canzone particolare, cantata in Italiano. Un brano con una storia quasi intima, con dei versi impalpabili, meravigliati di fronte a una esperienza rivelatrice. “Germogli d’inverno nacque da una cosa viva in mezzo a una natura morta quando osservai i fiori invernali dell’acace. Io pensavo che i germogli nascessero solo d’estate, e invece, anche quando fa freddo e tutto sembra deserto, nel mezzo dell’inverno…”
Il pezzo ha una doppia dedica, per il figlio di Francesco, Antonio, avuto dalla moglie Giò, e per Viola, la figlia di Renato, batterista del gruppo. “Dal verde di una collina e del mare al grigio delle periferie avevo il tempo per pensare ogni volta che andavo a provare”.
La canzone ha una semplicità assoluta disegnata da un Italiano in punta di piedi. “Scrivere in Italiano per me resta un tentativo, un work in progress costante. Ma questa canzone è piena di un senso di grande rispetto per quello che nasce dove non sembra possibile. C’è un dolce senso di appaciamento”.
Alla fine del viaggio, dopo burrasche e bonacce, arriva un approdo. “Non si deve essere necessariamente maledetti, non servono per forza le droghe, l’autodistruzione. Costruire è bello, e se hai la fortuna di avere una compagna per condividere la vita e poi comunicarla col rock’n roll, va bene. I nostri dischi sono come un romanzo di formazione, ci vedi dentro la crescita di un archetipo del ragazzo delle nostre zone” Uno qualunque tra i tanti che cantano le canzoni dei 24 Grana, i ventenni di ieri e quelli di oggi. “Abbiamo il privilegio delle persone che fanno il biglietto, ascoltano il disco. Per noi è una specie di servizio, lo dico con umiltà”.
L’affetto della gente che riempie i concerti è sempre un regalo speciale. La gente lo chiama per nome, Francesco, arrivando a invocarlo come sindaco all’ultimo Neapolis Festival. “Credo che farei solo guai – sorride Di Bella – ma per cominciare istituirei un carnevale di almeno un mese, in cui tutti si devono travestire da qualcun altro. La Campania è terra di lotta, di musica, di vita. Mi piacerebbe se anche altri musicisti napoletani si rendessero conto del nostro patrimonio”.
Napoli come una riva. Un porto. Di Bella chiude visibilmente soddisfatto. “Turnamme a ‘casa”
“Ma una volta finito ripercorriamo la strada,
e siamo bambini, ragazzi e uomini in eterno.
Dov’è l’ultimo porto, donde non salperemo mai più?”
Citazioni da Moby Dick – Herman Melville
si ringrazia per la collaborzione Eleonora Squillante
Autore: Alfonso Tramontano Guerritore
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