Non mi capita molto spesso di non trovare le parole per descrivermi o descrivere qualcosa. In effetti è strano, visto che io con le parole ci campo. Ad ogni modo, scrivere su Dente, al secolo Giuseppe Preveri, mi è costato parecchio.
Mi sono trovata molte volte davanti a questo foglio vuoto, con un’ansia peggiore di quella che avevo quando dovevo scrivere la mia tesi di laurea (!).
Seguo Dente dal lontano 2006, dopo averlo scoperto casualmente su myspace.
All’epoca era piuttosto sconosciuto; di lui sapevo che aveva firmato con la Jestrai e che aveva suonato un paio di volte in qualche festival qui in Campania.
Le sue melodie sospese tra l’ammiccante ed il melanconico mi piacquero immediatamente, perché un po’ le sentivo mie, come spesso accade con ciò che ci piace; mi venivano molte domande da fargli e, naturalmente, speravo di poterlo intervistare presto.
L’origine dell’ansia di cui scrivevo prima è nata proprio da quest’intervista.
Non saprei dirvi cosa c’è che non va, se non che forse, da uno che canta “scusa tutto quello che ho bevuto e quello che non ho taciuto/ scusami per quello che ti ho dato, se ti ho desiderato/oltremodo scusami/”, mi sarei aspettata di più.
Ma forse non avevo messo in conto che, se non avesse fatto il cantautore, avrebbe spacciato ectasy davanti alle nuvole.
Te l’avranno già chiesto in molti. Perché il tuo nome d’arte è Dente?
Non è un nome d’arte, è il soprannome che mi porto addosso da vent’anni.
Sei stato membro di due band, perché poi ti sei dato alla carriera solista?
E’ stato un caso, c’è stata attenzione riguardo alle cose ce facevo da solo e così ho deciso di provare.
Il tuo stile è molto particolare, a chi ti ispiri o comunque, da chi ti senti maggiormente influenzato?
Non saprei io scrivo così come mi viene senza pensare che potrei fare una cosa “così piuttosto che cosà”…
Parliamo di social network. Sei sempre stato molto attivo su myspace, pensi che questo ti abbia aiutato in qualche modo o comunque, pensi che i social network possano aiutare i musicisti ad emergere?
Certo. Noi siamo la prima generazione che ha goduto di questo mezzo ed ha funzionato. La visibilità è altissima e non costa nulla. Non so se nel futuro potrà reggere per colpa del sovrappopolamento della rete.
Hai partecipato a “Il paese è reale”, una sorta di baluardo della musica indipendente. Ma per te, cos’è realmente la musica indie?
La musica indie non esiste. E’ un nome che oggi ha perso il suo significato e viene spesso inteso come un genere musicale che è sbagliatissimo. Io faccio musica italiana ed esco per una etichetta cosiddetta “indipendente”, ma la linea di confine tra major e indipendenti si sta assottigliano parecchio.
Cosa mi dici della querelle che si è scatenata a riguardo sulle pagine di XL di Repubblica?
Non l’ho seguita. non so cosa sia. (Male, male! Per sapere di cosa si parla, basta spulciare sul sito di XL, il mensile musicale de La Repubblica, ndr.)
Tornando sul tema, gli Afterhours hanno lanciato la compilation dopo la loro partecipazione a Sanremo. Tu parteciperesti al festival?
Certo.
Oltre alla compilation, hai mai pensato ad una collaborazione con qualche tuo collega? Se sì, con chi ti piacerebbe collaborare?
Nel mio disco ci sono Enrico Gabrielli, Vasco Brondi, Dino Fumaretto, gli Annie Hall, in passato ho collaborato con Roberto Dell’Era e alcuni Mariposa. Mi piacciono queste cose, mi piacciono quando avvengono in modo spontaneo, quindi per il futuro non so.
Che progetti hai per il futuro?
Appunto…continueremo il tour fino a fine dicembre, poi riprendiamo con uno spettacolo diverso a Febbraio e poi chissà..
Una domanda che mi piace sempre fare. Se non avessi fatto il musicista, che lavoro avresti fatto?
lo spacciatore di ecstasy davanti alle scuole.
Autore: Veronica Serena Valli
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