Back in Black. Si torna al nero. E non nel senso simil-infernale inteso dai luciferini ma in fondo innocui AC/DC nel titolo di quel loro splendido settimo disco, purtroppo. In Nazirock (libro+film, pubblicato da Feltrinelli/collana Real Cinema) Claudio Lazzaro (nella foto), giornalista di lunga esperienza (ne L’Europeo e nel Corriere della Sera) che da qualche anno ha deciso di cimentarsi nella regia di documentari (“Camice Verdi”, il suo primo lavoro, era sugli attivisti della Lega Nord), esplora il mondo dell’estrema destra, partendo da un “Campo d’Azione” organizzato da Forza Nuova a Viterbo e dalle parole delle band invitate a suonare (gli Hobbit e i Legittima Offesa). A Forza Nuova il documentario non è piaciuto, e ha fatto di tutto per evitare che fosse proiettato. Il tentativo di boicottaggio – come prevedibile – ha sortito l’effetto opposto: il film è diventato un caso nazionale…
Perché hai individuato nel rock il punto di partenza per l’esplorazione del mondo dell’estrema destra?
Mi sono detto, se c’è espressione artistica, per quanto rudimentale, vuol dire che c’è identità. Allora bisogna capire da dove viene quest’identità, da cosa è formata, perché sta crescendo. Naturalmente a me questa cosa fa paura, non ci trovo niente di affascinante. Però devo essere capace di farla vedere, di capire. Prima capire, poi condannare. Altrimenti ottieni l’effetto contrario.
Quali sono i messaggi più ricorrenti nei testi dei gruppi vicini alla destra radicale? Ad un’analisi superficiale sembra si prediliga la forma dello “slogan” urlato, come modalità espressiva. E’ così?
Si, sono slogan, spesso agitati senza una vera comprensione del loro contenuto, anche in modo irresponsabile. Alcuni di loro si sono lamentati: “Tu ci hai voluto mettere in cattiva luce, quella canzone frana la curva frana sulla polizia italiana non è neanche nostra, l’hanno scritta gli Erode che sono di sinistra”. Io rispondo: “Può averla scritta Stalin o Claudio Villa, ma se tu la canti con quei toni isterici che incitano alla violenza, poi ti assumi la responsabilità di quel messaggio”.
Le band che dichiarano di suonare “rock identitario” si riconoscono – fin dagli anni ’70 – in una scena definita di “musica alternativa”: in un contesto in cui gli artisti che a sinistra sono considerati “impegnati” condividono in tutto e per tutto le stesse dinamiche di mercato degli artisti commerciali, e in cui anche i generi musicali considerati in qualche modo “di rottura” finiscono prima o poi per diventare “trendy”, è possibile che l’auto-definizione di “musica alternativa” scelta dai gruppi musicali d’estrema destra sia realmente appropriata, per quanto possa sembrare assurda?
Devo dire che a me le etichette e le definizioni interessano poco. Ognuno può intendere il termine “alternativa” a modo suo. Personalmente, considero alternativo tutto ciò che si oppone ad un potere conservatore, reazionario, che vuole limitare le libertà della persona e la libertà d’informazione in nome dell’ordine costituito e di valori, spesso agitati in modo ipocrita, come Dio, Patria, Famiglia. In questo senso, vedo poco di alternativo in questa musica di destra.
C’è una critica che mi sento di avanzare a “Nazirock”: non credi che il documentario (con un titolo così chiaramente riferito alla musica) fornisca una visione molto (troppo?) parziale dell’universo musicale in questione? Non sarebbe stato interessante esplorare più a fondo le strutture, le realtà (quali sono le etichette che producono questi gruppi? dove si vendono i loro cd? dove si esibiscono dal vivo, chi organizza i loro concerti?) di una “scena” del tutto sconosciuta ai più?
Il titolo è solo una bandiera, è una metafora. Chi vuole capire a fondo questo universo musicale si può leggere un saggio di Valerio Marchi, edito da Castelvecchi (Nazirock. Pop music e destra radicale). Nel risvolto di copertina che io avevo previsto per il DVD (ma poi Feltrinelli ne ha scelto un altro) si legge: “C’è una musica nuova, che sale dal cuore nero della destra radicale. La suonano i giovani che tifano per Hitler e Mussolini. Anche nella politica italiana c’è una musica nuova: adesso basta un pugno di voti a sdoganare la destra del terrorismo e delle stragi”. Questo è il tema che mi interessa. Molto più della filologia rock.
Nelle interviste ad alcuni attivisti particolarmente giovani è chiara la volontà di mettere in evidenza certe loro carenze in termini di conoscenze storiche. Credi le stesse domande (o a domande su personaggi-simbolo dell’universo di sinistra), poste a dei coetanei di quei ragazzi fuori ad un centro sociale “rosso”, avrebbero sortito risposte più consapevoli e approfondite?
Ho frequentato in questi due mesi molti centri sociali. Io sono un moderato. Politicamente mi sono sempre definito un socialdemocratico, anche quando questa definizione suonava come un insulto. Devo dire che i centri sociali mi hanno fatto un’ottima impressione. Fanno un lavoro utile, sono uno dei rari e superstiti elementi di radicamento della sinistra nella società. In linea di massima direi che il livello culturale di questi giovani è superiore rispetto a quello che ho trovato a destra, sia sul piano qualitativo (qualità dei valori) che su quello, diciamo, nozionistico.
Dai teppistelli da stadio ai teorici come Maurizio Rossi e le loro strampalate teorie, dai personaggi considerati eroi perché cercano di far saltare in aria la sede de “Il Manifesto” a quelli finiti in parlamento nonostante i “discutibili” trascorsi: l’universo della destra radicale appare incredibilmente variegato. Quali sono i tratti comuni a tutte queste diverse realtà?
La cultura della destra estrema ha un tratto comune: l’uso della forza come soluzione dei problemi. Quando la sinistra estrema usava la violenza finiva con l’assomigliare, al di là dei valori di partenza, alla destra fascista. Quello che accomuna è l’idea che tu puoi manganellare o sprangare qualcuno per risolvere un problema. Se ti leggi A che punto è la notte, di Provvisionato e Baldoni, vedi che la violenza di destra era affascinata da quella di sinistra, cercava di emularla. Solo che la destra era meno accurata e selettiva. Fioravanti partiva per ammazzare uno e poi per sbaglio ne ammazzava un altro che non c’entrava niente. A volte per i terroristi di destra la violenza era un valore in sé, era un gesto, era fine a sé stessa. Oggi ci sono brutti segnali, ma non credo, non voglio credere che si possa tornare agli anni 70.
Il film è stato sottoposto a un boicottaggio feroce da parte di Forza Nuova, che ne ha ostacolato in ogni modo la diffusione. Ci racconti com’è andata, e se ci sono sviluppi in corso?
Forza Nuova ha mandato ai cinema che dovevano programmare Nazirock una diffida. “Se tu lo proietti, ti faccio causa, perché il film è diffamatorio”.
Non è vero. Il film è molto equilibrato. Lo dice anche Massimo Fini, un intellettuale ascoltato e apprezzato dalle destre. Inoltre, se ci fosse diffamazione, Forza Nuova avrebbe già fatto causa all’Editore Feltrinelli, che distribuisce il film in libreria. In ogni caso gli esercenti cinematografici si sono spaventati, perché sapevano da chi veniva la diffida. Non si sono spaventati invece quelli che m’invitano ogni giorno in tutta Italia, e ora anche in Europa, a presentare il film, a volte nei cinema che vengono affittati, oppure nelle sedi di associazioni private. Ogni volta trovo dalle cento alle trecento persone, con gente in piedi che vuole fare domande e discutere.
Ci sono una serie di elementi e temi ricorrenti, nel mondo della destra radicale (le lotte per il diritto alla casa, l’odio per le forze dell’ordine, il sostegno al popolo palestinese, l’antiamericanismo…), che sembrano incredibilmente “vicini” alla cultura della sinistra extra-parlamentare: possibile ci siano così tanti punti di contatto tra due universi apparentemente antitetici, o le prospettive attraverso le quali questi temi sono affrontati restano lontane anni luce?
I punti di contatto sono solo apparenti. Spesso questi argomenti vengono usati in modo pretestuoso. Roberto Fiore fa l’antiamericano, tuona contro l’imperialismo sionista e contro le multinazionali. Poi però cerca l’alleanza con Berlusconi, l’alleato più fedele di Bush.
E’ vero che io giovani della Fiamma si battono per il diritto alla casa, ma mentre ti fanno firmare per la casa, ti fanno firmare per Ciavardini innocente (che ha giustiziato un magistrato per strada e ha preso trenta anni per la strage di Bologna) e ti fanno firmare per l’abolizione delle legge che dovrebbero impedire il ritorno del fascismo. Insomma sono valori agitati spesso in modo contraddittorio e strumentale.
Il sottotitolo del tuo lavoro – “il contagio fascista tra i giovani italiani” – sembra drammaticamente “attuale”, negli ultimi giorni. Credi che il clima politico attuale possa favorire la diffusione del contagio?
Credo proprio di sì. La destra estrema viene sdoganata politicamente, viene allo scoperto. Gli stupidi, le teste calde, si sentono legittimati. Ci avevano promesso il poliziotto di quartiere. Rischiamo di trovarci i giustizieri di quartiere, che danno la caccia ai clandestini, ai gay e a quelli col codino.Autore: Daniele Lama
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