A colloquio con Giuseppe Caputo, voce e chitarra del trio post-punk Miranda, in occasione dell’uscita del secondo disco del gruppo. Inevitabile poi soffermarsi a parlare anche della fromSCRATCH, etichetta che Giuseppe co-dirige con una passione davvero ammirevole. Un grazie aggiuntivo al bassista Piero Carafa, il quale ha gentilmente partecipato all’intervista rispondendo pure lui ad alcune delle domande.
I titoli dei due dischi dei Miranda – “Inside the whale” il primo, “Rectal exploration” il secondo – sembrano quasi rivelatori di una vostra inconscia paura di venire allo scoperto, di staccarvi dal caldo ventre “materno” della balena e dalle fetide viscere “paterne”… tipico complesso edipico di gruppo perennemente in bilico tra sogni e frustrazioni, tra underground ed anonimato? …..ehm scusa, ho fatto il Freud dei poveri…
Giuseppe: Ehm… che domanda profonda, cercherò di essere all’altezza… eheheh…
E’ vero che in entrambi i titoli c’è l’idea della fuga, ma in senso opposto. Inside the whale è un commento scritto da G. Orwell su H. Miller, che è uno dei miei scrittori preferiti. Il ventre della balena è un luogo caldo e umido, che protegge e tiene lontani dalle responsabilità. La metafora era usata in senso critico per descrivere la poetica di Miller, basata sull’edonismo estremo e sul rifiuto del compromesso. Abbiamo preso in prestito quel titolo perché abbiamo registrato il disco sottoterra, in un sottoscala nelle colline tra Bologna e Firenze, in una situazione di completo distacco. Il luogo era piccolo e claustrofobico, così come i suoni che ne sono venuti fuori. Questo accadeva l’estate del 2002, estate calda e umida.
Rectal exploration rappresenta il contrario del ventre della balena. E’ un’esplorazione sessuale animalesca, fatta di tanto sudore e piacere. Non è chiudersi, ma cercare di esplorare in profondità, in maniera radicale e sfrontata. Volevamo che tutto fosse più immediato di “Inside the whale”, ci siamo riusciti credo, sembriamo un altro gruppo, soprattutto grazie all’entrata nel gruppo di Nicola (batteria). Prima di iniziare a registrare avevamo solo 5 brani pronti, l’idea era di suonare senza soluzione di continuità per tre settimane, stravolgendo le strutture originarie e producendone di nuove, parlando pochissimo ed evitando di discutere troppo delle cose che uscivano fuori. Rock ‘n roll animal, direbbe Lou Reed. Questo accadeva l’estate del 2005, sulle colline a sud di Firenze.
Piero: La scelta del titolo del primo disco è tutta di Giuseppe e si accostava bene alle atmosfere cupe e contorte del disco. Credo per questo di avere avuto una buona parte di responsabilità.. Un momentaccio a livello personale e affettivo che è sfociato come un vulcano in implosione tutto sulle atmosfere dei primi Miranda..
“Rectal exploration” è basato invece sull’impatto sonoro e meno sull’introspezione.. Se “Inside the whale” era un flusso mentale, “Rectal exploration” è uno schiaffo con la voglia di buttarsi dietro il passato.
Potendo scegliere, tra vent’anni preferiresti che i Miranda venissero ricordati come gli allievi maldestri dei Can o come i figli degeneri dei June of ’44?
Giuseppe: Preferirei di gran lunga la prima definizione. Credo che siamo molto lontani dall’idea che i June of 44 avevano della musica. Noi prediligiamo un approccio selvaggio, non c’interessano i viaggi freddi e calcolati, preferiamo esplorazioni in luoghi caldi e umidi. Basta vederci dal vivo per capire quello che voglio dire e per notare la differenza del nostro approccio rispetto al rock matematico, il post-rock o come lo vuoi chiamare. Vomitiamo sudore e bruciamo calorie come un gruppo punk, altro che post-rock!
Discorso molto diverso per i Can, dei quali adoriamo i primi dischi. Hanno una sezione ritmica eccezionale, il basso riesce allo stesso tempo a produrre ritmo e a fare melodia, la chitarra riempie i vuoti, mentre la voce alienata di Damo Suzuki dà colore. Noi abbiamo un approccio simile, anche se i risultati sono molto differenti.
Piero: Mi piacciono tutte e due le definizioni, dei Can però abbiamo una stima maggiore perché nessuno direbbe, ascoltandoli a scatola chiusa, che alcuni brani risalgono agli anni ‘70. Prese singolarmente molte loro canzoni potrebbero rappresentare ognuna una tendenza o un genere musicale che si è sviluppato nell‘underground dagli ’80 fino ad oggi.
Mi potete illustrare il testo di “American bombs”?
Giuseppe: Il testo è molto minimale: “lascia che ti spieghi il mio piano per dissolverti, 3 american bombs, tutto quello che ho detto, ho fatto è per te solo per te” Quando abbiamo scritto il testo iniziava la seconda guerra degli USA contro l’Iraq. Personalmente odio i gruppi che parlano di politica nella musica, finiscono per essere retorici e patetici. La musica preferisco usarla per altro, ma l’attacco americano all’Iraq aveva creato un clima pesante, il pezzo era già pronto e sembrava fatto apposta per fare da colonna sonora a quel momento surreale, il testo è venuto dopo. I media hanno prodotto una quantità tale di informazioni false e selezionate ad arte per creare un clima di insicurezza e di catastrofe imminente. “3 american bombs” non vuole essere un pezzo di denuncia e non vuole far politica, non c’è un riferimento esplicito a quella guerra, non ci sono prese di posizione esplicite, solo la traduzione in musica di un’atmosfera plumbea vissuta da tre musicisti che, per loro fortuna, sono nati dalla parte giusta dell’emisfero, quella ricca che le bombe le sgancia.
Piero: quando questa canzone era in fase di elaborazione l’atmosfera che si cercava di creare suonandola era incentrata sull’idea del loop e della ripetizione circolare. L’esplosione liberatoria e noise del finale si accostava benissimo alla sensazione di bombe che piovono all’improvviso dal cielo.
Quando hai preso perfettamente coscienza che il tuo “non saper cantare” è una forma di “canto”?
Giuseppe: Mentre registravo le parti vocali di “Rectal exploration”, mi sono detto “cazzo funziona”, tutto qui. Sono riuscito a liberarmi completamente della mia timidezza, non so come ci sono arrivato, è solo successo ad un certo punto. Nell’ultimo anno ho ulteriormente sviluppato il modo di cantare, ma questo lo scoprirai nel prossimo disco o dal vivo. Prima o poi riuscirò anche a cantare in italiano, vorrei, ci provo ma proprio non ci riesco.
Piero: Come, non sapevi che Giuseppe ha fatto parte dello Zecchino d’oro???
Oltre che dai Miranda, immagino che molto del tuo tempo sia assorbito dalle attività della fromSCRATCH…. ci spiegheresti come funziona a livello logistico la fromSCRATCH, con la vera e propria etichetta discografica stanziata a Firenze e le attività di booking e promozione riconducibili invece all’associazione culturale attiva in quel di Arezzo?
Giuseppe: Sì in buon parte è così. Io mi occupo più della parte dell’etichetta. Spesso registro anche i lavori che poi produciamo (come per i dischi di Miranda, Uber e il prossimo dei Neo), ma non è una condizione necessaria per lavorare con noi.
Con Piero ci occupiamo di organizzare eventi e concerti a Firenze. Dallo scorso anno abbiamo iniziato le serate a “40watt”, un contenitore che obbliga i musicisti a suonare a basso volume. L’idea è nata dall’impossibilità di trovare un posto dove poter suonare a volumi alti anche durante la settimana, i club funzionano prevalentemente il weekend. La creatività limitata e posta sotto stress sembra beneficiarne, la cosa funziona e diverte musicisti e ascoltatori. Facciamo una cosa simile anche ad Arezzo, la serata si chiama “a basso volume”. Tutti i mercoledì il 40watt a Firenze, i giovedì a basso volume ad Arezzo.
fromSCRATCH come agenzia di booking è seguita prevalentemente da Alez che cerca di promuovere in giro i gruppi che ruotano attorno all’etichetta, spingendo l’acceleratore durante le uscite dei dischi, ma….aimè l’ambiente legato ai live in Italia sembra sempre più inscalfibile.
Ti lascio tre righe per fare un bello spot promozionale all’ultima uscita fromSCRATCH, lo split tra Littlebrown e Pentolino:
Giuseppe: Paolo Moretti/Pentolino cerca su google i suoi omonimi e scopre che c’è un Paolo Moretti/Littlebrown che fa dischi con la Madcap e che suona cose simili alle sue. E’ stato il caso a farli incontrare. Scrivono entrambi canzoni dal sapore folk, con un approccio punk. C’è anche un pezzo registrato dai due in differita telefonica, che unisce i primi 5 brani di Littlebrown con gli ultimi 5 di Pentolino.
Come musicista e come proprietario di un’etichetta, qual è la tua posizione riguardo al delicato rapporto tra libero uso della tecnologia (file sharing, duplicazioni non autorizzate…) e tutela dei diritti d’autore per le opere d’arte e d’ingegno? Se ti dico che ho masterizzato l’ultimo dei Miranda a dieci amici ti incazzi?
Giuseppe: Puoi masterizzare il cd a quanti amici vuoi! Se magari il cd gli piace e vogliono sostenerci comprando l’originale, che ha una bella grafica fatta da un artista aretino, meglio ancora!
Credo che il diritto d’autore così come lo abbiamo pensato sino ad oggi non abbia più senso di esistere. Il cd sembra essere diventato solo uno strumento con cui il musicista si fa pubblicità, mentre è tornato ad essere centrale il live. La vendita dei cd come mezzo per fare soldi riguarda, ancora per poco, solo quelli che vendono milioni di copie, gli altri campano facendo i concerti. Detto questo, a me piace avere i cd originali, per me hanno ancora un valore. Internet ed il filesharing sono un grande strumento, che va lasciato libero e senza controlli. Anche se chi scarica musica dovrebbe sempre ricordarsi che produrla ha dei costi e non so fino a punto sia moralmente giusto pensare di poterla avere sempre e solo gratis.
Nel 2003 la fromSCRATCH ha pubblicate l’ottima raccolta “Collisioni in cerchio” – sottotitolo “the fromSCRATCH sessions vol. 1” – frutto di sessioni improvvisate in pochi giorni da vari gruppi amici della tua label, dagli Zu ai Ronin, da L’Enfance Rouge ai Jealousy Party… ci sarà mai un secondo capitolo di quell’esperienza? e nel caso, quali bands ti piacerebbe coinvolgere?
Giuseppe: Il secondo volume ci sarà, appena avremo tempo e soldi per realizzarlo. L’idea per il volume 2 è di coinvolgere 8 gruppi in 4 sessioni di registrazioni, durante le quali due gruppi alla volta si fonderanno e dovranno produrre in 2 giorni 20 minuti di musica. Ma potrebbe anche trattarsi di session registrate da musicisti di più gruppi, lasceremo decidere al caso. Ci piacerebbe anche realizzare un documentario della cosa, da allegare in dvd. Ancora non sappiamo chi parteciperà, probabilmente con chi ci capiterà a tiro nel momento in cui decideremo di realizzare il progetto.
II concerto a cui hai assistito che proprio non dimenticherai mai…?
Giuseppe: Domanda difficilissima. Unwound, al Cpa a Firenze, nel 1998. Iniziano a suonare alle 3, eravamo rimasti in 15 a vederli. Li ho conosciuti un anno dopo circa a Bologna e quando gli ho ricordato quel concerto, mi hanno risposto che lo consideravano il più brutto della loro carriera!
Piero: I concerti li metabolizzo fino a che non avrò un unico ricordo di un evento che sarà la somma di tutti i concerti visti. Non potrò mai dimenticarlo perché sarà “IL” concerto.
…e il concerto dei Miranda che proprio non potrai dimenticare?
Giuseppe: Ce ne sono diversi… A Lione a settembre e l’ultimo concerto suonato con i Talibam a Firenze, entrambi molto divertenti e con un pubblico caldo.
Piero: Sì a Lione al Sonic su un battello parcheggiato sul fiume è uno dei miei preferiti ma ho dei bellissimi ricordi anche dei concerti fatti con Pietro (nostro primo batterista) tipo quello di supporto agli americani Tristeza a Prato.
Mentre scrivo queste domande da inviarti via mail, sto ascoltando l’ultimo dei Supersystem… hai avuto modo di sentirlo? Ti è piaciuto?? Non capita pure a te di dimenarti come un pazzo sulle note di “The lake”? Le movenze punk-funk della vostra “Monosexfiles” promettono molto bene, a quando un disco dei Miranda tutto da ballare??
Giuseppe: Preferisco quello prima dei Supersystem, quello nuovo devo ancora metabolizzarlo. Un disco dance dei Miranda? Le cose nuove a cui stiamo lavorando sono un po’ più ballabili, più immediate di rectal exploration, almeno nelle intenzioni, ma forse siamo ancora lontani da quello che immagini. Anche se ora suoniamo una cover molto dance: “Mind your own business” delle Delta 5. Le conosci? La suoniamo con batteria, chitarra e mandolino, è molto divertente.
Piero: Siamo tutti molto ballerini, il problema è la coordinazione, sarebbe un disco di spastic-dance!Autore: Guido Gambacorta
www.mirandamiranda.it – www.fromscratch.it