Ogni tanto Steve Albini capita anche in Italia. E’ vero, adesso sta lavorando con gli Stooges, ma dato il suo eclettismo e la sua fenomenale professionalità, è anche amico, estimatore e produttore degli Uzeda. L’intervista che segue, infatti, è stata svolta proprio in occasione della produzione del bellissimo cd “Stella”, ultima perla del gruppo siciliano, registrato presso il Red House di Senigallia. Come da copione, dato il suo profondamente punk, si è reso estremamente disponibile per una lunga e proficua chiacchierata di cui vi proponiamo una lunga sintesi.
Sei considerato il produttore per eccellenza dell’indie-rock, che effetto ti fa questa etichetta oggi che hai superato i 40 anni?
Il mio background è l’underground, non il mainstream. Il termine alternativo non ha un solo significato, nel senso che io considero sempre la scena indie alternative non limitata al rock, ma può riguardare anche altri generi, come il jazz o qualsiasi altra forma di musica. Il termine indie è più legato ad un’etichetta, che in certi momenti della storia va di moda, come è successo con il grunge, che a un certo punto è diventato di successo, ma questo non mi interessa, per me è importante il rapporto tra me e la band e tra la band e la musica che fa. Io ho sempre avuto a che fare con gruppi, da quando ho cominciato, che tra loro creano una comunità, come una famiglia. Ho sempre pensato più al rapporto con il gruppo, a capire il gruppo e poi a me non interessa se un gruppo può avere o non avere popolarità. Del resto i gruppi che mi piacciono di più, che sono anche miei amici, si trovano tutti in questo mondo. La mia posizione come ingegnere è un modo anche di vedere la vita. Il mondo da cui provengo è un modo di vivere. Avrei fatto la stessa cosa se fosse stato il 1959, quindi non c’è nessun rapporto diretto tra me ed il mondo commerciale, anche se in un certo momento della storia, a seconda di quello che avviene nel mondo, alcune cose che ho prodotto hanno avuto un successo commerciale, ma questa cosa non mi interessa.
C’è un gruppo, di quelli con cui hai lavorato, con cui ti sei sentito particolarmente a tuo agio e con il quale hai constatato delle affinità particolari?
Ogni anno faccio molte registrazioni, quindi, essenzialmente il lavoro che faccio è importante per il fatto che la band sia contenta e soddisfatta. Non è un fatto personale, ma professionale. Ci sono poi dei momenti molto particolari, che nell’arco di un anno avvengono un paio di volte, per esempio una situazione come questa, venire qua, in questo posto bellissimo, mangiare tutti i tipi di animali: coniglio, cavallo, agnello, maiale, lardo che fa diventare tutto un momento particolare ed intenso da ricordare. Qui mi sto trovando molto bene. Se proprio devo prendere una band, cosa che faccio solo perché questo rapporto è molto forte, sono i Circle, che hanno fatto 18 dischi con me, quindi in questo lungo periodo si è sviluppata una grande amicizia ed è una cosa un po’ speciale.
Quanto è importante per te, dal punto di vista della crescita umana ed esperienziale, variare tante tipologie di gruppi, dato che sei passato a produrre dai Nirvana e P.J Harvey ai Neurosis o i Saeta o gli stessi Uzeda?
Mi ritengo molto fortunato e sono gratificato dal fatto di avere la possibilità di lavorare con una così grande varietà di musicisti, che a loro volta, mi chiamano. Personalmente non riesco ad immaginare la vita di un ingegnere del suono di Nashville, che ogni giorno fa delle sessions con gruppi di musica country, al posto loro mi impiccherei. Mi sento fortunato ad essere contattato da gente così differente, perché ho la possibilità anche di confrontarmi con molti modi diversi di vedere le cose.
Che significato hanno per te oggi il post-rock ed il post-hardcore?
Non riconosco questi termini, che per me non vogliono dire niente, magari c’è qualcuno che è in grado di codificarli ed è quindi in grado di rispondere, siccome non le riconosco, non sottoscrivo queste distinzioni.
Ti senti orgoglioso di aver piantato, con i Big Black, i semi di quello che poi è stato definito l’industrial hardcore?
Nel 1981, quando i Big Black suonavano, il termine hardcore industrial era più legato, a gruppi che provenivano dall’Inghilterra come i Cabaret Voltaire, che non ascoltavo, non è che mi piacessero, mentre i primi gruppi di musica elettronica che mi influenzarono furono i Kraftwerk, ma ci siamo sempre ritenuti una band di american punk-rock e ci ritenevamo migliori.
Che cosa pensi dell’industriale musicale di oggi?
Per me resta centrale il rapporto tra me e le band con cui lavoro, quindi il mio parere rispetto all’industria musicale è di uno che ne sta fuori. Generalmente l’industria musicale è di dominio delle grandi corporations, che non vuol dire che devono essere per forza grandi industrie, può essere anche una piccola etichetta che ha un’attitudine da major. Io non sono parte di questo, io ho un rapporto con le band, del resto è stato così anche con i Nirvana. Io sono stato contattato direttamente da Kurt Cobain, non è che avessi, quindi, un rapporto con ciò che stava dietro i Nirvana. In 25 anni che sto nella musica, non ho mai cambiato opinione, ci sono un sacco di cose brutte nel music business, ma io vedo il tutto sempre come un outsider. Non mi interessa farne parte e non ne ho fatto mai parte. Il rapporto con le band è invece, diretto e ritengo che le major siano qualcosa che tentino di sifonare, di tirare soldi dalle band.
Cosa pensi del rock di oggi, ritieni che siamo giunti ad un punto di non ritorno, dove si ha difficoltà a trovare qualcosa di innovativo, ci sono per te ancora band o generi da scoprire o pensi che si continui a riciclare e a miscelare vecchi generi?
C’è sempre un’occasione per un’innovazione. Può darsi che ci sia qualcuno che suoni qualcosa che è stato suonato ieri, ma in modo differente, dipende sempre da come si ascolta. Io non penso che ci sia, né ci sarà mai nella musica una direzione, non c’è nulla di prestabilito, questo è più un aspetto dell’industria musicale. Io non penso che non ci troviamo in questa fase di non ritorno. Migliaia di anni fa, quando la gente suonava aveva una sorta di feeling privato, poi si cominciò a scrivere la musica, per cui questa musica poteva essere suonata in un altro posto, senza che la gente si vedesse, per cui questa era un’evoluzione e serviva per creare un’audience più grande. Poi si è inventato il fonografo e si pensava che la gente non sarebbe più andata ai concerti, poi si è inventata la radio dove si potevano ascoltare le sinfonie di musica classica ed allora i direttori d’orchestra temevano che nessuno sarebbe andato ai concerti, ma non era vero, perché quando qualcuno nell’Idhao sentiva la voce di Caruso, si domandava chi fosse, e così si creava più audience e poi Caruso faceva un concerto in una grossa città e questo spingeva la gente ad andare. Quindi non è vero che siamo ad un punto di non ritorno, l’industria ha sempre paura della tecnologia, perché si fa i suoi conti. Ho una band di amici a Chicago, pressoché sconosciuta e grazie ad internet sono ascoltabili tanto ad Haiti, quanto a Taiwan. La tecnologia quindi è sempre stata uno strumento per aumentare e creare più audience. Anche con la diffusione di internet si pensava che nessuno avrebbe più comprato dischi, invece no, è servita per aumentare un’audience, quindi non vedo questo non ritorno. C’è sempre una possibilità.
Quali sono i tuoi chitarristi preferiti?
I chitarristi che preferisco sono quelli che hanno inventato un loro vocabolario, come i due chitarristi degli Ex (gruppo olandese, di cui Albini ha prodotto alcuni dischi, ndr.), che non hanno preso da nessuno, ma che hanno sviluppato un loro linguaggio. Insieme sono fantastici, perché suonano in una maniera completamente differente. Poi mi piace moltissimo anche come suona Agostino (Tilotta, degli Uzeda, ndr.). Poi mi piace molto il modo in cui suona Shannon Right, che ha sviluppato un modo di suonare molto percussivo, che ha anche una voce bellissima.
Cosa pensi della nuova direzione intrapresa dalla Blues Explosion da “Acme” in poi?
Non la seguo molto, nei primi due dischi avevano uno stile molto personale che poi non hanno continuato.
Uscirà un nuovo disco degli Shellac?
Gli Shellac hanno un disco pronto, ma non so quando uscirà, se entro l’anno o nel 2007.
Puoi dare qualche anticipazione, se e come si differenzia anche rispetto a “1.000 hurts”?
Il nuovo disco degli Shellac sarà un nuovo disco degli Shellac, nel senso che se tu ascoltatore hai familiarità con le sonorità degli Shellac, riconoscerai gli Shellac, se non li hai mai ascoltati, rimarrai stupito.
Oltre agli Uzeda quali altri gruppi italiani conosci?
Conosco gli Uzeda, i Three second Kiss e gli Zu. A parte questi tre non ne conosco altri.
Cosa pensi della politica del governo Usa?
Quando ero piccolo c’era Johnson e c’era la guerra in Vietnam. C’era uno sparuto gruppo di persone che protestavano contro la guerra in Vietnam, poi la protesta è aumentata e poi c’è stato un grande movimento, quindi un grande casino ed infine il caos. Dal governo Nixon in poi, fino ad oggi, le cose sono cambiate in una maniera tale, che tutto quello che è il concetto della costituzione Usa non viene per niente rispettato. Fondamentalmente la nostra costituzione è per la democrazia e per la libertà. Quando è stata fatta, all’epoca era un esperimento, per togliere un potere centrale alla tirannia, alla monarchia e distribuirlo tra la gente. Oggi non è così, mi viene da dire che tutto quello che fa oggi il governo Usa è antiamericano, è come se loro seguissero una strada che è completamente differente da quello che dice la costituzione. Fondamentalmente mi vergogno, perché ora c’è un governo fascista. Se fosse applicata la costituzione, la nostra sarebbe la democrazia in assoluto, la migliore al mondo, ma non è così, l’amministrazione Bush è anti Usa. Allo stato attuale, anche il caos che c’è in Italia con Berlusconi è meglio di quello che c’è da noi. In questo momento, qualsiasi cosa è meglio dell’amministrazione Bush, perché da un lato ci sono i principi costituzionali e dall’altro c’è la direzione intrapresa dal governo, che porta verso il fascismo. Io mi vergogno, sono molto imbarazzato, perché è una cosa che vivo in maniera molto intensamente. Io so che quando uso la parola fascista con voi italiani, dico qualcosa di molto importante, conosco bene il significato del termine e non è una metafora. Quando il fascismo ha preso il potere in Europa, ha fatto le stesse cose che sta facendo adesso il governo Usa.
Sei d’accordo con quanto afferma Noam Chomsky che ogni presidente Usa dovrebbe essere, a fine mandato, incriminato per diritti contro l’umanità?
Non sono d’accordo con Chomsky, perché noto tra le varie amministrazioni delle differenze. Chomsky è un teorico e mette tutti sullo stesso piano, mentre io preferisco distinguere Kennedy, da Jim Carter, poi Nixon da Bush. Per Chomsky sono tutti cattivi, per me Nixon era cattivo perché voleva il potere a tutti i costi, ma Bush è notevolmente peggio. Autore: Vittorio Lannutti
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