Se esiste il disco definitivo del power-pop, si tratta senz’altro dell’omonimo debutto dei Beat, formazione statunitense di fine anni Settanta guidata dall’allora giovanissimo Paul Collins. “The Beat” (Columbia, 1979) è un disco perfetto, una raccolta di canzoni fantastiche che ti rimangono appiccicate addosso al primo ascolto grazie a un mix straordinario di melodie accattivanti e chitarre grintose.
Prima di arrivare a comporre un capolavoro di tale portata, il giovane Paul aveva già fatto parte dei Nerves, terzetto r’n’r formato assieme a Jack Lee e a Peter Case, quest’ultimo poi leader dei Plimsouls. I Nerves, a torto o a ragione, vengono considerati gli “inventori” del power-pop alla luce di un solo fondamentale EP (uscito nel ’76) che conteneva una gemma rilucente intitolata “Hangin’ On The Telephone”. Si tratta proprio del brano che, qualche anno più tardi e con il gruppo ormai sciolto, sarebbe stato portato al successo da Blondie, raggiungendo nel 1978 la vetta delle classifiche americane.
Ma a quel punto Paul Collins aveva già voltato pagina e intrapreso la sua carriera: con The Beat prima e da solista poi. Un percorso interrotto nel 1993 con l’uscita di “From Town To Town”. A ben dodici stagioni da quel disco, Paul è tornato con un nuovo album (“Flying High”, Lucinda Records) e un ritrovato entusiasmo. Lo stesso con cui ha coinvolto il pubblico nella sua unica apparizione italiana in quel di Roma, in occasione del festival “Road To Ruins”. Non ci siamo fatti sfuggire l’occasione per incontrarlo e scambiare due chiacchiere con lui.
Paul, come mai ci ha messo tutto questo tempo a incidere un nuovo album?
E’ vero che sono trascorsi ben dodici anni dal mio ultimo disco, però in tutto questo tempo non sono sparito completamente dalle scene. Per cinque o sei anni sono andato in tour in versione acustica in Spagna, Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Ho poi gestito un’etichetta discografica a New York, la Wagon Wheel, per alcuni anni. Infine nel 2001 mi sono trasferito a Madrid dove ho aperto un bar, il Manhattan. Quindi ho deciso che era arrivato il momento di preparare un nuovo disco e, nel momento in cui ho avuto tutte le canzoni pronte, ho registrato “Flying High” a casa mia a Madrid, assieme a Octavio Vinck, un grande chitarrista che suona con me anche dal vivo.
E’ stato difficile per te trovare i musicisti giusti e rimettere in piedi una band o si è trattato di un processo abbastanza semplice?
Ci è voluto molto per trovare le persone giuste, però nel momento in cui ho conosciuto e iniziato a lavorare con Octavio il processo è stato molto rapido. Abbiamo registrato il disco in tre giorni!
Sei soddisfatto della riuscita finale di “Flying High” e quali sono le tue canzoni preferite di questo disco?
Sono molto contento di questo album perché contiene tutte le varie sfaccettature della mia musica: c’è un lato power-pop, un versante acustico, uno roots-rock. In “Flying High” c’è un po’ tutta la musica che mi piace. Le canzoni sono abbastanza diverse, prendi “Rock’n’Roll Shoes”, “I’m On Fire”, “Afton Place” o la stessa “Flying High”. E’ difficile scegliere un brano preferito perché sono contento dell’album nel suo complesso.
Ma non c’è una canzone a cui ti senti più legato a livello emotivo?
Direi “Afton Place” e “Paco y Juan”, ma anche “Silly Love” che è un brano che dal vivo suona meglio di quanto non sembri su disco.
Sei tornato all’attività discografica dopo dodici anni. Che progetti hai per il futuro?
Mi attende una frenetica attività concertistica per tutto l’anno. Oltre alla data di oggi come headliner in questo festival, tornerò in Italia a maggio per un breve tour. E sono in programma molte altre date: una tournée di 25 date in Spagna e poi concerti sparsi in Francia, Germania, Australia e prossimamente anche negli Stati Uniti.
In qualche misura ti dà fastidio il fatto che la gente si ricordi di te più per il tuo passato con i Nerves e i Beat che per il tuo nuovo album?
No, niente affatto. Per questo motivo il repertorio dei miei concerti è come un percorso musicale che attraversa tutta la mia carriera, dai Nerves ad oggi. In scaletta ci sono i classici dei Beat come “Rock’n’Roll Girl”, “Workin’ Too Hard”, “Walkin’Out Of Love”, ma anche “Hangin’ On The Telephone” dei Nerves e vari brani tratti dal disco nuovo.
Facciamo un salto all’indietro, ai tempi dei Beat. Il vostro primo album è considerato una pietra miliare nella storia del r’n’r e il disco power-pop definitivo. Mentre lo registravate, vi rendevate conto di stare scrivendo un disco di tale portata?
Mi fa molto piacere che la gente consideri “The Beat” un gran disco e che continui a comprarlo e ascoltarlo a oltre venticinque anni di distanza. E’ qualcosa che mi rende orgoglioso.
Però all’epoca noi cercavamo semplicemente di dare il meglio di noi stessi, come ogni artista. Era pura magia, però non sapevamo se il risultato sarebbe stato eccellente o meno. Il passare del tempo e l’apprezzamento della gente mi hanno fatto rendere conto che avevamo realizzato un disco così importante.
Ti fa rabbia pensare che i Blondie ottennero un numero 1 in classifica con la cover di “Hangin’ On The Telephone” dei Nerves e che avreste potuto esserci voi al loro posto?
Se sei bella e bionda, la fortuna ti aiuta…(risate)… Che vuoi che ti dica? Sono contento che un nostro brano sia conosciuto da così tanta gente. E poi il gruppo era già sciolto quando i Blondie lo registrarono…
Che musica ascolta Paul Collins oggi?
Quello che passa per radio. Non c’è nessun gruppo nuovo in particolare che mi fa impazzire. Diciamo pure che in questo momento sono molto concentrato sulla mia musica…
So che adesso vivi in Spagna. Quando e perché hai deciso di abbandonare gli Stati Uniti?
La mia relazione con la Spagna dura in realtà da una ventina d’anni. Negli anni ‘90 mi trovavo a New York e decisi che era arrivato il momento di provare a vivere in quella che è la mia terra d’adozione, così mi sono trasferito a Madrid.
Dove c’è una grande scena rock’n’roll…
Sì, credo che in Spagna in questo momento c’è un ambiente rock’n’roll molto forte e questo mi ha aiutato molto. Anche a ritornare in pista con “Flying High”.Autore: Roberto Calabrò
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