I suoni degli Harembee scorrono sulla pelle come di notte le luci delle gallerie solcano a velocità costante il parabrezza dell’auto. Trasmettono un’incontenibile bisogno di movimento. Un movimento quasi impercettibile, ma costante. Un trip-hop di classe dove le composizioni lineari e semplici sono attraversate perfettamente al centro da una voce (quella di Karin Nygren) che sa parlare direttamente al cuore. Le frequenze emesse dalle corde vocali di questa donna non ci mettono poi tanto ad abbindolarti.
Basi essenziali e ricercate incantano, addolciscono gli arti di chi le ascolta. “Harembee” nella lingua swahili vuol dire “sentire” (inteso come TO FEEL), per cui “percepire collettivamente”. I loro pezzi infatti, riecheggiano nei padiglioni auricolari come canti religiosi metropolitani, come litanie di riti oscuri agli angoli delle strade di città. Sin dai primi ascolti è obbligatorio un immediato parallelo con i Lali Puna. Il basso marcia imperterrito in “Small Blu Lips”, dove un accompagnamento ritmico detta il tempo all’apparato cardiaco dell’ascoltatore. La voce di Karin si sdoppia e si creano intrecci intriganti. “Slowdown” li avvicina molto ai Mogwai. La voce maschile di “Summer is going (nowhere)” sembra il corrispettivo maschile di Karin. Come dire….la parte maschile di una stessa essenza vocale. Ricorda la bisbigliata tristezza e mollezza di Matteo Agostinelli dei Yuppie Flu. “Perfect blu” sembra un sogno ad occhi aperti su una spiaggia desolata d’estate. Ipnotico, il brano scorre per quasi cinque minuti e la voce, nell’aria, sembra lasciare inciso a fuoco il suo timbro come in un ultimo e desolato addio.
Autore: Stefano Ferraro
www.harembee.com