I Visione Sinfonica si sono ritagliati, negli ultimi anni, un ruolo di tutto rispetto nel (piuttosto povero, diciamo la verità) panorama del rock “altro” napoletano. Dopo essersi fatti apprezzare più volte dal vivo, si ripropongono con un ep di tre pezzi (tutt’altro che “striminzito”, comunque, visto che la durata totale è di trenta minuti!).
Una produzione coraggiosa e ambiziosa, a tratti davvero esaltante, a tratti prolissa e confusa. Sicuramente penalizzata da una registrazione di qualità mediocre, che purtroppo finisce per pregiudicare composizioni che sul suono basano gran parte della loro efficacia.
In apertura, “Pittore del silenzio” inizia richiamando alla mente la scuola minimalista “classica”, riveduta però in chiave rock. Accordi reiterati, ossessioni industriali, distorsioni laceranti. Poi d’un tratto la rarefazione, i silenzi e l’appiattimento attorno ad una voce recitante (decisamente evitabile, a mio avviso). Il finale è affidato al “solito” – ma efficacissimo, nel caso specifico – assalto noise, tanto caro a certe dinamiche post rock. Peccato che i vari “movimenti” del lungo brano suonino per certi versi “slegati”, come costretti ad una “convivenza forzata”, causando in questo modo una notevole dispersione di tensione.
Le cose vanno molto meglio quando il gruppo riesce ad essere conciso e diretto, come nell’ottima “Senza titolo”: ossessive pulsazioni elettroniche simil-techno e chitarre avvolgenti, toni scuri e atmosfere apocalittiche. Senza dubbio uno dei momenti migliori della loro breve carriera.
Nella title-track il lirismo iniziale espresso da un’efficace “duetto” tra le chitarre, viene soppiantato da un’incursione di rumore bianco. Dopo una breve, evocativa parentesi con chitarra acustica e delicati battiti elettronici, i Visione Sinfonica si lanciano in una (troppo) lunga sequenza di deflagrazioni rumoristiche. Anche in quest’ultimo episodio si ha come l’impressione che le varie parti del lunghissimo brano (siamo sui 13 minuti!) manchino di coesione, come se si trattasse di una serie di bozze lasciate incompiute e messe in sequenza. E allora perché non provare a sviluppare singolarmente i singoli (peraltro interessanti) spunti? A prescindere dalle scelte stilistiche del gruppo, mi sembra che i ragazzi vogliano dire a tutti i costi quante più cose è possibile, anche a costo di “affollare” inutilmente le idee.
A parte queste considerazioni, comunque, non si può fare a meno che ribadire ancora una volta l’assoluta validità del progetto, tra i più interessanti in circolazione in uno scenario – quello del rock “underground” italiano – in cui è sempre più raro trovare musicisti con la voglia e la capacità di osare.
Autore: Daniele Lama – daniele@freakout-online.com