Fa strano occuparsi di prog-folk, ma il fatto è che quando un disco arriva in redazione, preferiamo occuparcene – a meno che non si tratti di Alberto Radius o Pietra Montecorvino, con tutto il rispetto –, pur consapevoli di come al nostro pubblico interessi, presumibilmente, tutt’altro. D’altra parte è anche di veterani che stiamo per occuparci – anche se a tutt’oggi di dischi di questa band irpina se ne sono visti appena 4, incluso quest’ultimo –, quei Notturno Concertante il cui nome avevo già intravisto anni fa su un non meglio specificato magazine e che da un po’ girano in concerto con Tony Pagliuca, tastierista delle storiche Orme (a tale proposito: ma si può ascoltare la loro ‘Canzone d’Amore’ rifatta dagli Aeroplanitaliani? Ma non erano quelli ganzi di “zitti zitti il silenzio è d’oro?” Bah…). Anche la curiosità è un motore per il proprio lavoro, diamine.
E’ la stessa band a indicarci la propria inclinazione stilistica, ma a dire il vero di prog-folk si ascolta ben poco. Da un lato ci dispiace che Raffaele Villanova e soci abbiano loro malgrado contravvenuto a quesato proposito. Dall’altro, visti gli esiti, è forse meglio così. Nel 2005, ma anche prima di tale data, mi riesce difficile immaginare che qualcuno abbia i mezzi per porsi indirettamente al cospetto di chi – Genesis, King Crimson o, più appropriati alla fattispecie, Traffic e Jethro Tull – ha codificato il progressive in modo tale da renderlo immutabile, o almeno irripetibile a certi livelli.
Resta il folk, però. Buona parte dei 13 brani staziona su queste frequenze, e in particolare, data la provenienza dei diretti interessati, sulla tradizione popolare meridionale – la Montemarano di tarantelle e tammurriate è proprio lì, del resto –, nella forma di “allegri” fraseggi di flauto, clarinetto e violino.
Quella che dovrebbe essere la materia principe si materializza in goffi tentativi mal riusciti, essenzialmente pop (‘Io Ti Amo’, ‘Gente Dietro la Finestra’, ‘Lezioni di Vita’), afflitti peraltro da un cantato che evoca addirittura lo spettro di un Gigi D’Alessio, o consistenti in melodie strumentali ammalianti e struggenti (‘Six of the Best’, ‘Erewhon’, ‘Flood of Tears’, ‘La Luce della Notte’) ma niente che necessiti di scomodare il termine “prog”. Le cose migliori – che fa piacere rilevare anche se pochine – giungono da ‘En Clave de Sol’, episodio etno-folk “tecnologico” che fa tornare in mente le suggestioni centro-asiatiche degli Alesini & Andreoni di “Marco Polo”. Ma di “riscrivere il passato”, beh, non mi sembra ancora il momento…
Autore: Roberto Villani