Notizie di Carmen Consoli? Da un po’ la cantantessa ha smesso di lasciar tracce di sé in giro. Tracce che invece ritroviamo, in via indiretta, nel primo episodio discografico della Narciso-Due Parole, la sua etichetta personale con la quale la Consoli intende divulgare anche il lato tradizional-popolare di quella Catania che, negli ultimi anni, ha fatto parlare di sé in termini musicali più moderni, affermando le proprie radici attraverso un concreto sentiero a ritroso verso le stesse.
Nel concreto il compito viene affidato ai Lautari, quintetto catanese doc che però è andato a pescare il nome da un clan di musicisti tzigani romeni – poi raffigurati nell’omonimo film, datato 1972, di tale Emil Lotijanu. Ed è la sostanza di “Anima Antica” in primis a ricevere l’influsso di tale “ubiquità artistica”, l’ultima delle istanze unificatrici della cultura popolare mondiale viste fino a oggi, sottraendo da subito i Lautari ad un’altra grande espressione della cultura popolare sicula: le bande di paese, sottofondo incessante di ottoni per matrimoni, funerali e feste varie.
“Anima Antica” va invece in una direzione minore, più rustica e meno “istituzionalizzata”: quella della piccola accolita di musicisti di campagna, del canto e dei suoni avulsi dalla pubblica canonizzazione per mezzo di manifestazioni “ufficiali”, che qui figurano al più come oggetto di questa o quella canzone – è il caso di ‘A li Quattro, a li Cincu, a li Sei Uri’, che rievoca le processioni delle confraternite a Pasqua – anziché come riferimento di cui essere espressione.
E’ un sentiero che condivide molto della “roots music” del Mezzogiorno in generale: prova ne sia la cortese partecipazione del musicista-cantastorie salentino Alfio Antico, che firma ‘Passu li Notti’; l’“attrezzatura” utilizzata, sospesa tra strumenti locali ed esotici, cui si aggiunge quella parte “convenzionale” coerente con arrangiamenti più effervescenti degli ideali originali (c’è la sola ‘Hora Lautareasca’ come “traditional”, peraltro non siciliano – per l’origine si veda sopra); la voce della povera gente, ora gioiosa pur senza saper come mangiare (‘La Ballata di Ciccio Patata’), ora intrisa di lamento e disperazione, come in ‘Carziri di Cianciana’ – località sede di una prigione – introdotta da una voce narrante che solidarizza con i detenuti innocenti (“se il mondo fosse governato da chi veramente sa farlo, nessuno subirebbe soprusi” – il tutto è qui tradotto, ovviamente, perché è il dialetto siculo a farla da padrone per tutto il disco): una voce ambivalente, proprio come il connubio di melodica solarità e drammatica amarezza che aprirà a questa musica le vie di ogni cuore che sa guardare anche indietro…
Autore: Roberto Villani