Dopo le bombe e gli inni alla guerra sarcastici ed inquietanti del precedente “Anime candide”, grazie al quale il funambolico artista napoletano ci introduceva alle devastazioni irakene perpetrate da Usa ed affini, è giunto il momento per il sentimento e la riflessione. In “Nia maro” emergono, infatti, l’amarezza della vita ed il fluire di sentimenti. Come sempre Sepe recupera brani tradizionali, anche in questo caso non limitandosi a quelli dell’Italia meridionale, ma a quelli del Mediterraneo, come la ballata greca, impreziosita da metafore amorose, “To kokino fustani”, o la splendida poesia magrebina “Ile jamailikoum”, dove frasi come “Oh messaggero del mio amore/Parlami di quella bellezza/Troppo lontana da me (…)” sono impreziosite da un musica intensa, chiaramente con richiami raj, e degli splendidi cori. Sepe si diletta a rileggere la “Tammuriata” con un progressivo free jazz, di quasi nove minuti, tanto devoto a Miles Davis e tra gli altri brani scritti dal nostro troviamo la lunga suite free jazz lenta e riflessiva “La guerra dei mondi”, con un incipit di Orson Wells. L’unica fuga verso l’Europa centrale Sepe se la concede nella Francia di Brassens di cui riprende, come al solito a suo modo, “Les amourex des bancs publics”. “Nia maro” non è un Cd di facile impatto, merita molti ascolti per coglierne le mille sfaccettature e le tante particolarità che lo rendono, come quasi tutta la produzione di Sepe, un lavoro di grande maestria.
Autore: Vittorio Lanutti