Non che ci stessimo pensando al punto da non dormirci di notte, ma tra le attese di questo 2004 ormai al tramonto potremmo inserire anche la Juniper Band con un nuovo disco. Che arriva, più o meno puntualmente non ha importanza. Meno puntuali – ma è motivo di rilevanza – sono quelle novità che, nel bene o nel male che siano, danno all’ascolto di “Time for Flowers” un carattere di “surplus” rispetto a ciò che conosciamo, tanto dei diretti interessati quanto, in un’ottica globale, del musicale stato delle cose nostrano.
Il “baricentro” stilistico, innanzitutto, ha cambiato, almeno parzialmente, la sua ideale sede geografica – così come la line-up ha mutato pelle e numero, con due uscite e un ingresso. Laddove “Secrets of Summer” condensava in sè una sorta di “summa” del sound di Louisville, il nuovo, terzo album (se attribuiamo tale status anche al debut EP del 2001) punta verso il north-west degli Unwound, più elettrico, più “straight” ma anche più “spacey” e pindarico. E’ questo il quadro che emerge da buona parte della sostanza musicale dei 9 brani di “Time for Flowers”, ma è appunto un discorso tendenziale, che deve tenere conto tanto delle residue introspezioni post-oriented (‘Cult of the Skull’), quanto di ruvide scorie punk (‘Ropes’, ‘Bring You Flowers’), quanto ancora di “sbirciatine” emo ad una potenziale radio rotation (‘Empty Spaces’).
E c’è spazio anche, come sorta di “deviazione” dal “pattern” Unwound – punto di riferimento che ci torna “comodo” in questa sede ma che non può comuque esaurire la raffigurazione scritta del Juniper-sound –, per una discreta esposizione a tiepide allucinazioni stoner-psych, inclini tanto all’elettrico (‘Gemini’, impreziosita da scorribande di hammond) quanto a visionarie dilatazioni/distorsioni – la conclusiva ‘Every Hour Wounds (Last one Kills)’, dove la voce di Francesco Begnoni viene in qualche modo “trattata”.
Il quadro rasenterebbe quella perfezione che viene invece compromessa da un uso troppo “sfrontato” e convulso della voce (come se già non bastasse Giulio Calvino dei Candies, peraltro compagni di scuderia – nulla di personale, abbiate pazienza, o diretti interessati…) nelle iniziali ‘Cold Bodies’ e ‘To the Glow’ (“cominciamo bene”, sarebbe venuto da dire…) e nella già citata ‘Gemini’. Ma mettiamo pure che stiamo parlando del loro secondo – o terzo, scegliete voi – album. E aggiungiamoci anche un artwork ancor più suggestivo di quello a cui la band bolognese, con “Secrets of Summer”, ci stava già abituando…
Autore: Roberto Villani