Fino a qualche anno fa un certo tipo di musicisti italiani tendeva a rifarsi ai modelli stranieri sia per la parte musicale che nella scelta del cantato in inglese. Pian piano quest’ultima opzione è andata scemando in favore dell’uso dell’italiano, un fattore che penalizza non poco i nostri artisti che vogliano varcare i patrii confini. I mantovani Grey, al contrario, in questa loro prima esperienza discografica hanno deciso di non porsi limiti di sorta, puntando su di un prodotto che risultasse il più possibile “internazionale”. Coadiuvati in sede produttiva dal loro compagno d’etichetta Giulio Casale degli Estra, i quattro ragazzi hanno imbastito una manciata di canzoni dall’impronta malinconica e vagamente psichedelica. Ascoltando attentamente il disco, non è difficile scovare l’influenza esercitata su di loro da artisti quali Jeff Buckley o dai Radiohead meno propensi ad elucubrazioni elettroniche. Se da un lato ciò non depone completamente a favore del gruppo, rimane tuttavia l’impressione che i Grey abbiano tutte le carte in regola per costruirsi, col tempo, una cifra stilistica maggiormente personale, partendo da delle basi che, attualmente, sono comunque discrete. Del resto, se si pensa che il primo disco degli stessi Radiohead era il loffio “Pablo Honey”…
Autore: LucaMauro Assante