Mala tempora currunt dicevano i latini e questo purtroppo sottolineano oggi gli E Zézi, il gruppo operaio di Pomigliano d’Arco che da quasi trent’anni denuncia le malefatte dei potenti contro gli operai e gli sfruttati di tutto il mondo. Non è nostalgia di un comunismo anacronistico, ma la dura realtà nella quale viviamo oggi, con sempre meno garanzie sia sul posto di lavoro che di lavoro in quanto tale. Fedele al loro folk napoletano, il combo napoletano continua nella sua opera di canto di denuncia a ritmo di tarantelle e tamurriate con testi che come sempre si trovano sul labilissimo confine tra il cantastorie e il cantautorato, rigorosamente i dialetto napoletano.
Di un disco come “Diàvule a quatto” se ne sentiva la necessità, è giunto nel momento giusto, sia perché nel panorama italiano ultimamente non c’è molto di interessante, sia perché siamo in un momento socio-politico particolarmente drammatico e nessuno, tranne il loro amico e collaboratore Deniele Sepe, ha denunciato con tanta schiettezza e coraggio. Il ritmo che sorregge i venti brani di “Diàvule a quatto” è costante ed incessante sia dal punto di vista musicale che di contenuto.
I pezzi meritevoli di una citazione sono tantissimi, direi quasi tutti, tuttavia, quelli che spiccano sono l’incitazione a prendere a bastonate i padroni di “Malaràzza”, il ragammuffin di “Ballo re’ pezzenti”, che si fregia della collaborazione di Luca Zulù dei 99 Posse, la tarantella “Sciosciammò” nella quale si inveisce contro Berlusconi e il G8 “So’ loro e criminali/ca ce levano ‘o pane e l’aria…”. Alla fine dell’ascolto del disco viene una gran voglia di riascoltarlo perché è uno dei pochi modi che aiuta a resistere.
Autore: Vittorio Lannutti