Cos’è che spinge un’artista a fare un cover album (un’artista che di dischi alle spalle ne ha non pochi, intendiamoci, non una band sgangherata che ha da poco capito come si imbraccia una chitarra)? Tributo, carenza di ispirazione o che? Insomma, una cover qua e là ci sta anche bene, ma un’intero album?
Di sicuro posso dire che non lo comprerei mai. Farei un’eccezione probabilmente per una ristretta cerchia di 2-3 gruppi che amo particolarmente (se avessi, effettivamente, 2-3 gruppi che amo particolarmente…), e credo che il risultato non sarebbe comunque soddisfacente come quello di un album di materiale proprio. Un acquisto frutto in parte di curiosità, in parte di devozione.
Forse sono questi stessi sentimenti ad aver spinto i Silkworm, sulla breccia ormai da un po’, a fare un EP (bè, almeno hanno avuto il buon gusto di non sfruttare tutto lo spazio concesso dagli odierni suppoerti…) di cover. Per loro stessa dichiarazione si tratta di brani di musicisti-amici, o giù di lì. Niente icone impossibili di cui millantare un’improbabile amicizia, ma buoni “goodfellas” dell’ambiente: Shellac, Pavement, Bedhead, Robbie Fulks, Nina Nastasia.
Fin qui nulla che sia particolarmente degno di essere narrato ai posteri. Cohen, Midgett e Dahlqvist però, più che metterci del loro (e l’ultimo “loro”, ossia “Italian Platinum”, non è proprio un disco che mi abbia aperto nuovi orizzonti o cosa) imboccano il sentiero “campestre” del sound acustico, portandosi perfino un mandolino (tipico strumento americano) in studio.
Degli originali conosco (mea culpa) la sola, lunghissima (qui in minutaggio ridotto) ‘And Then…’ di Malkmus e soci. Bella, sì da rendere rischioso il tentativo-cover. E va infatti fuori bersaglio questo tiro dei Silkworm – che pure hanno delle buone credenziali nell’ambiente – e in generale l’EP. Un disco sostanzialmente già realizzato da altri “intransigenti” dell’acustico, per di più – anzi, di meno – di sole cover. Disco non inspiegabilmente superfluo. Badate ad altro.
Autore: Bob Villani