Se un album andasse giudicato dal titolo, questo sarebbe da dieci e lode. In rigoroso ordine alfabetico, Marco Giudice (basso, il topo), Piero Giuffrida (batteria, il rutto) e Gianfranco Vitello (chitarra, il maiale). Ma il bestiario finisce qui, perché il resto sono note a grappoli. I Saguaro, siciliani di Catania, formatisi nel 1996 e con all’attivo una serie di concerti con band emergenti del panorama alt italiano (fra tutti Brutopop e gli immaginifici Zu) pubblicano per la isolana Free Land Records il loro primo album, ovvero una galoppata delirante di quaranta minuti lungo le praterie sconfinate dell’improvvisazione a tre, dove basso batteria e chitarra si scambiano il ruolo di noise maker, senza orpelli inutili, ma con la sola voglia di fare casino. Siamo dalle parti dei Sonic Youth più sperimentali, insomma, e chiunque l’avant-rock newyorkese sa cosa aspettarsi.
Però c’è un però. Perché una produzione più attenta avrebbe potuto dare maggior spessore ad un lavoro che, così come è, andrebbe bene come demo, perché del demo ha tutte le caratteristiche, ovvero l’accavallarsi di irruenza, scarso interesse per il particolare, urgenza di veicolare un messaggio e pomeriggi passati in cantina. Ma che i mezzi ci siano, lo dimostra la ghost track dove, dopo cinque strumentali tiratissimi, i tre siciliani si producono in un electronoise a base di campionamenti e stralci di conversazione ripetuti in loop, assolutamente fuori luogo rispetto a quanto ascoltato in precedenza, ma proprio per questo piacevolmente spiazzante. Una buona premessa, allora, in attesa della seconda prova di cui, sono sicuro, sentiremo parlare.
Autore: Andrea Romito