Le gambe magrissime nei jeans stracciati, il giubbotto di pelle malandato e fuori moda, gli occhiali neri tondi e i capelli lunghi, a caratterizzare un look identico dal ‘75 fino all’ultimo giorno di vita – che per la cronaca è stato il 15 Aprile 2001, quando una malattia se l’è portato via a 49 anni d’età – la voce da ritardato, che ha creato un nuovo canone – quello del punk rock – ed il sorriso ebete sottilmente malinconico, portatore di un messaggio anarchico non meno delle smorfie di Johnny Rotten o del ghigno di Joe Strummer; anche questo è stato Joey Ramone, e la pubblicazione postuma in oggetto ci permette di incontrarlo per un ultimo saluto, 11 anni dopo la morte, e ritrovarlo sempre uguale, sempre pronto a giocare col rock’n’roll, lui che pochi giorni prima di morire, spacciato, incideva un disco intitolato Don’t Worry about Me.
Quindici canzoni che l’etichetta discografica ha tirato fuori dagli archivi – outtakes e demo degli anni 80-90 – e che Micky Leigh – chitarrista, fratello di Joey Ramone – assieme ai Cheap Thriks, a Joan Jett, Dennis Diken degli Smithereens, Lenny Kaye, Richie Ramone ed altri punk hanno reinciso estrapolando solo la voce di Joey con un invasivo lavoro di post-produzione e missaggio; fatto sta che il disco suona malgrado tutto molto bene malgrado siano 5 o 6 le canzoni davvero di peso e ci siano un paio di ballate riarrangiate in modo un po’ caricaturale.
Non s’aggiunge nulla alla storia dei Ramones, e molti brani qui, ovviamente, sono in linea con le buone cose – innoque e giocose – degli anni 80, tipo Halfway to Sanity ed Animal Boy, e tra una sparatissima ‘I couldn’t Sleep’ ed una esaltante ‘Going nowhere Fast’ si ha l’illusione che Joey abbia sconfitto davvero la morte perché aveva il cuore puro e più o meno una sua canzone su tre conteneva quella frase disarmante, che sembrava sempre l’avesse inventata lui: “do you wanna be my girl?”.
Autore: Fausto Turi