Per gli amanti dell’underground U.S.A., l’italiana Interbang pubblica l’album Haunted House di Jad Fair e Gilles Vincent Rieder, disco che sarebbe uscito nel 2004 per la label scozzese MRW44 se all’epoca non ci fossero stati problemi con il proprietario dell’etichetta.
Che Interbang con le sue operazioni di recupero dei grandi nomi internazionali sia sinonimo di qualità nessuno può più metterlo in dubbio come nessuno può negare che Jad Fair sia ormai un nome di culto del rock più deviante e deviato, sulla falsariga di personaggi altrettanto naïf come Captain Beefheart e Daniel Johnston.
In questo lavoro Fair è accompagnato da Gilles-Vincent Rieder, il batterista della sua creatura principale, quegli Half Japanese che hanno traversato fin dal 1974 i sentieri più obliqui del rock, ed è divertente notare come di volta in volta sia i lavori a nome Half Japanese che di Jad Fair solista siano stati etichettati sotto i più svariati generi, dal rock psichedelico al punk, dall’indie-pop al lo-fi, garantendo al musicista quella sorta di meritata ‘indipendenza’ che rende incapaci di collocare definitivamente l’artista in questione (per quanto mi riguarda, in quelle compilation che si facevano agli amici, un paio di brani degli Half Japanese riuscivo sempre a infilarli un po’ ovunque).
Songs from Haunted House non sfugge a questa ‘non regola’, anzi, con i suoi 18 brani (suddivisi su due facciate di giallo vinile) più gli ulteriori 4 brani dell’e.p. Outside The Haunted House, (scaricabile grazie al codice contenuto nel vinile) la conferma e la potenzia, lasciandoci di fronte a circa un’ora di musica corrosa da una folle vena freak praticamente inesauribile.
Dentro c’è praticamente di tutto, dal noise-punk con pianoforte a qualcosa di simile ai Butthole Surfers con organetto, da un Lou Reed perduto nella giungla a ritmi in levare, percussioni improbabili ed echi di reggae improprio, dalle nevrosi in stile Wall Of Voodoo a momenti in cui le chitarre elettriche si sentono compatte ed aperte pur lasciando sullo sfondo quel retrogusto lisergico che ha da sempre caratterizzato il nostro uomo.
Ci sono anche momenti di triste bellezza narrata in un talking sereno e distaccato, magari accompagnato da una marcetta, ma è sempre l’acidità ed una sensazione di ironico cinismo a venir fuori, come un Julian Cope senza la ‘substantia’ del riff, come uno Stan Ridgway senza l’epica americana, come un Jello Biafra senza la molla del punk-rock.
Jad Fair è uno dei ‘loser’ modello di quella che è la costellata storia della musica americana, uno di quelli il cui nome è citato quando si parla di ‘surreale’ nel rock e di personaggi borderline ma al contempo è anche uno di quelli di cui nessuno conosce o ricorda un brano e allora questa potrebbe essere l’occasione per acquistare questo particolarissimo vinile ottimo anche da sfoggiare nei vostri momenti boriosi, come quando mostrate la vostra collezione di dischi agli amici.
Autore: A.Giulio Magliulo