I Beach House mi piacevano, poi a un certo punto non più. Ma per una questione di traumi post-adolescenziali, mica altro. E già che ci siamo, comunque, sì, si tratta di uomini. Perché l’ultima volta che il duo super-romantico di Baltimora è venuto a suonare a Roma per promuovere Teen Dream, registrò un accaldato e semiumido sold out di luglio.
Io persi il concerto, pur tuttavia scoprendo, tempo dopo, che un ragazzo che mi piaceva tanto, a quella sera aveva rimorchiato di brutto. E da allora ecco, per me i Beach House hanno assunto il connotato di Bitch House. Certe cose non sono razionali, ma i traumi sono traumi. E quindi è non senza una certa ostilità che mi approccio al loro nuovo lavoro, Bloom, quarto disco in sei anni di attività, che esce in primavera con un nome da primavera.
E’ un disco malinconico come un bel ricordo e dato che la nostalgia vende bene, non ho dubbi che questo disco avrà fortuna. Però non solo per questo, perché Bloom è veramente un bel disco da ascoltare e se sulla Treccani un giorno dovessero scegliere un’immagine per corredare la voce “dream pop” io suggerirei la copertina di questo album.
Dalla traccia di apertura, Myth, a quella di chiusura, Irene, la voce sottile e leggera di Victoria Legrand galleggia sul tappeto di suoni vintage-synth senza colori forti, disegnando un mondo che contempla solamente contorni di luce e poche tonalità di rosa ed azzurro. Più che un disco di primavera è un disco di fine estate, perfetto da ascoltare in macchina, con le scarpe ancora piene di sabbia, la testa poggiata al finestrino mentre sotto gli occhi scorrono le linee bianche delle carreggiate, in autostrada. Direzione opposta a quella del mare. Il ritorno.
Bloom è un esperienza compatta: dieci tracce che potrebbero tranquillamente sembrarne una sola. Non ci sono singoli né tormentoni, solo atmosfere. Nonostante questo non riesco a dire che si tratti di un brutto disco, anzi. Magari sarà strano presentarlo in un live. Magari sarà difficile rimorchiare donne con atteggiamento da Mick Jagger. Ma insomma, questo non è un problema che mi riguarda. La vita è fatta di corsi e ricorsi, mio caro.
Autore: Olga Campofreda