“It’s over now”: non abbiamo neanche iniziato che è già tutto finito con un basso distorto che introduce riff su riff, batteria, ritmi forsennati, suoni psichedelici.
A circa un mese dal rilascio di “Appaloosa Rmx Vol 1”, album di remix del precedente lavoro in studio della band di Livorno, “Savana” (Urtovox, 2009), tornano gli Appaloosa con un nuovo album di inediti: “The worst of saturday night – Musica per energumeni del sabato sera”.
Il quarto album del quartetto, il primo per la Black Candy records, ci ripresenta quanto già avevamo potuto ascoltare nel precedente “Savana”: ritmi danzerecci forsennati ma al contempo cerebrali nell’uso di figurazioni ritmiche atipiche, suono distorto che ti arriva dritto nel ventre e ti rimbomba in testa, miscela di generi in nome di una reiterazione che però si discosta da quella elettro tout court per dare vita a un ibrido musicale fatto di rumore e melodia.
Perché la melodia c’è, e le canzoni ti rimangono in testa, nonostante i brani degli Appaloosa cerchino la propria forza nella sessione ritmica, che si avvale di ben due bassi.
Ma quindi che musica fanno questi Appaloosa?
Difficile poterli catalogare in un genere: sono danzerecci, ma provate a immaginarli in una discoteca di Riccione; sono rock, soprattutto nell’uso degli strumenti, ma si basano sul loop ridondante; sono pop, ma le distorsioni e i suoni disturbanti fanno passare in secondo piano questo aspetto.
Gli stessi Niccolò Mazzantini, Marco Zaninello, Simone Di Maggio e Michele Ceccherini, definiscono la propria musica “una poltiglia di generi”, miscelata a dovere da Antonio Castiello al mixer (plauso al suono di questo nuovo lavoro degli Appaloosa, che non perde un colpo e riesce ad avvolgere totalmente l’ascoltatore).
Gli Appaloosa giocano con i generi, li miscelano e li stravolgono con sfrontatezza ed (auto)ironia (non vorremo mica prenderci troppo sul serio).
Si parte da tappeti sonori psichedelici vicini a certo kraut rock alla Tangerine Dream per arrivare alla forsennata ma al contempo pacata nel cantato “Calibriù”; si passa per brani vicini a quel percorso intrapreso dai Radiohead con “Kid A” fino alle cavalcate con fraseggi alla Vangelis a cui ci avevano abituati già in “Savana”; e ancora, la destrutturalizzazione dei suoni etnici, dall’Irlanda all’oriente, i bassi ultradistorti dal sentore post-punk che si adagiano violentemente su tappeti sonori fatti di synth; chill out, jazz, funk: cos’altro?
La verve ironica si avverte sin dal sottotitolo dell’album, preso “in prestito” da una vecchia recensione non troppo benevola in cui i brani dei 4 venivano definiti appunto come “musica per energumeni del sabato sera”.
Se volete ballare su ritmi forsennati (e se ci riuscite, sui tanti intrecci ritmici sbilenchi), se avete voglia di sudare nel pogo (ma farlo ascoltando un prodotto intelligente), se avete voglia di rumore che vi entri nella testa ma che non sia caos ma sia rumore ordinato, il tutto condito da una verve compositiva da non sottovalutare e da un suono che sa dove andare, gli Appaloosa fanno al caso vostro.
Magari a sentirla roba del genere nelle discoteche di Riccione.
Autore: Giuseppe Galato