Caratterizzati dal particolare sound, che comprende un bass synth, questi cinque ragazzi hanno programmato con acume come inserirsi nel mercato discografico italiano e non solo. Possiamo definirli i nuovi alfieri del nu-metal contaminato con il pop, i Keam sono in grado di bilanciare melodia e aggressività senza traumi con la giusta proporzione.
Il disco è stato registrato agli Edie Road Studios di New York, con in consolle Doug Ford, già con Crossfade, e prodotti da Fabio Raponi (Tiromancino, Max Gazzè).
Il disco parte con “7000 dawns” un pop-metal che sa molto di mainstream, epico ed evocativo, con spunti indie, in grado da essere appetibili sia a chi ama il sound sperimentale, sia a chi è abituato ad un sound rassicurante. Questo brano è emblematico, perché fa capire da subito la strada intrapresa dal gruppo che procede con la serrata e volteggiante, dunque coinvolgente, “Billy’s tripp(y)”.
Con “Black ink” il quintetto romano riesce a fondere in maniera magistrale elementi di hard-prog con il pop sintetico, mentre è con “Monochrome life” che i Keam vogliono rievocare a tutti i costi i fasti del nu-metal della metà degli anni ’90, per intenderci quelli dei primissimi Korn e Deftones, grazie al giusto equilibrio tra le chitarre aggressive e ad una voce carismatica e melodica.
Particolarmente intrigante risulta “Robin’s revenge”, introdotta da una sezione di archi, cambia poi totalmente registro stilistico virando verso un p-funk che deve molto alla new wave, con “Avoid the circle”, invece, il gruppo ci porta direttamente nel sintetic rock, andando oltre le istanze dei Subsonica.
Con questo esordio i Keam hanno lanciato una sfida a tutti quelli che vogliono rinnovare in maniera soft il mondo dell’hard rock.
Autore: Vittorio Lannutti