È elettronico. È suonato. È psichedelico. È pop. È danzereccio. È cantabile. È distorto. È melodico. È sperimentale. È da classifica. È complesso. È easy listening. È un uccello. No. È un aereo. Ah, no. Questa era un’altra storia.
La nostra continua così: è “S”, terza prova in studio dei Drink To Me, che già con “Brazil” (2010) firmavano il miglior disco dell’anno (per il sottoscritto, che ha naturalmente ragione, per quanto gli riguarda. Pari merito con l’omonimo dei Yokoano, eh). E, a meno che non esca qualcosa di altrettanto geniale nei prossimi mesi, anche il nuovo lavoro dei Drink To Me non avrà nessun tipo di problema ad imporsi come miglior album del 2012.
Si parte col botto con “Henry Miller”: le ritmiche sono di quanto meno scontato si possa trovare in un brano danzereccio. Ritmiche che si intrecciano, fra campioni e batteria suonata, a fare da struttura a un brano fondamentalmente pop, cangiante nella forma e nelle melodie vocali, che sfocia con tutta la sua avvolgente malinconia nella parte finale: “it happens when you hear them talking but you cannot get a word, and then you realize that Europe is a big amusement park”.
“S” prosegue, da questo punto in poi, senza una piega, forte di un songwriting orecchiabile e mai scontato miscelato a una sperimentazione che porta i Drink To Me verso territori psichedelici di stampo krautrock, e in particolare quello che colpisce sono i muri di suono che fanno da tappeto ai brani, li riempiono di sfumature che danno al tutto quel tocco in più, li valorizzano rendendoli avvolgenti senza risultare fastidiosi o imponendosi sul resto. In questo senso il lavoro sugli arrangiamenti è quanto mai complesso nonostante non si avverta di primo impatto (cosa riscontrabile in poche altre band, e qui va una nota di merito anche alla produzione).
Musica black e ritmi sudamericani fanno capolino nascosti, distorti, tanto da risultare impercettibili, a creare uno stile del tutto inedito (ricordiamo il reggaeton distorto di “B1” sul precedente “Brazil”).
A differenza di quanto accadeva nell’album precedente, dove il “pezzo forte” arrivava presto nella tracklist, come terzo brano proposto (parliamo di “The End Of History (America)”, capolavoro musicale dei giorni nostri: ascoltare per credere), in “S” i Drink To Me si concedono molto più tempo per sbalordire e piazzano il masterpiece dell’album sul finale, con “Airport Song”: una voce solitaria accompagnata da uno sporadico basso; arrivano man mano i synth a fare da tappeto sonoro fino all’esplosione distorto/ritmata di metà brano dove la batteria si arrampica su figurazioni atipiche, la voce viene trattata come uno strumento (plauso); fino al rilascio in volo su lande lisergiche dilatate e ipnotiche.
Suoni spettacolari, songwriting di altissimo livello, sperimentazione e piglio pop di qualità elevata: con queste caratteristiche possiamo tranquillamente affermare che i Drink To Me, dopo “Brazil” e con il nuovo “S”, rappresentano attualmente quello che hanno rappresentato negli anni band come Beatles e Pink Floyd fino ai Radiohead passando per artisti nostrani come Lucio Battisti, nella loro ricerca sonora mistione di melodia pop e sperimentalismo avanguardistico.
Esageriamo? Esageriamo.
Autore: Giuseppe Galato