E’ una chitarra spagnola, un flamenco slow ad annunciare l’ultimo album di Matt Elliott, ‘The Broken Man’.
Chi ha già ascoltato gli ultimi lavori dell’artista di Bristol già conosce il difficile percorso post Third Eye Foundation intrapreso e già sa che tutte le calli della tristezza saranno affrontate in compagnia del fantasma del folk europeo. Dal vivo Matt Elliott ancora non disdegna di stordirci con degli assalti elettronici ambientali, ma su disco, di questo tipo di esplosioni non vi sarà mai traccia.
Lunghe composizioni come Oh How We Fell lasciano affacciare anche violini e flauti, ma è solo per poco e di contorno, essendo sempre la chitarra e la voce tragica i perni sui quali queste litanie si snodano.
Una narrazione decisamente letteraria, poetica è il passo dell’ ‘uomo spezzato’ e non ci sono molte variazioni di sorta all’interno dei brani. Spesso i cori stranianti come lunghi lamenti funebri sono le conclusioni a questo dolore in formato canzone, eppure Dust Flesh and Bones ci culla dimessa e ci affranca dal peso del nostro inquieto vivere poiché c’è la dolcezza della rassegnazione a rapire l’anima commossa.
Senza quello stupido compiacimento, senza l’ostentato maledettismo di tanti falsi bohèmienne della musica, ad una canzone si può anche dare un titolo come If Anyone Tells Me It’s Better To Have Loved And Lost Than To Never Have Loved At All I Will Stab Them In The Face: chiunque altro l’avesse fatto – Scott Walker a parte – sarebbe sembrato ridicolo.
L’oscurità a volte è una coperta sotto cui rifugiarsi.
Autore: A.Giulio Magliulo