La Moncada potrebbe essere definito a tutti gli effetti un super gruppo, perché i componenti vengono da formazioni italiane, che seppure militano nell’ambito indie, sono autorevoli ed apprezzabili. Si tratta, infatti, di Frank Alloa che proviene dagli Airportman, Andrea Pisano dai Fuh, Davide Taccagno e Giannandrea Cravero dai Treehorn, oltre al cantautore Mattia Calvo.
Tuttavia questa estate Pisano ha lasciato il posto a Carlo Barbagallo, artista indipendente e membro di Suzanne’ Silver, Albanopower, Les Dix-Huit Secondes.
Sulla carta i presupposti per fare bene c’erano e il gruppo piemontese rispettato le attese.
I sette brani in scaletta, infatti, si dipanano lungo i solchi di un post rock nel quale si innestano noise, folk-rock e pop d’autore.
I testi sono scritti con dovizia e sono efficaci nel trasmettere un esistenzialismo spesso tragico. Calvo, che spesso usa un modo di cantare simile a quello di Clementi, raggiunge il suo apice creativo e di lucidità in “Revolucion” nella quale utilizza azzeccate metafore sulla contemporanea tragica situazione politico-sociale italiana quando sostiene che “quell’accozzaglia di troie e di nani/non hanno vergogna/non ci pensano nemmeno a lavarsi le mani”.
Il post rock del quintetto viene utilizzato parallelamente per fare da sfondo a brani decadenti come la title-track, e per dare un tono epico come ne “Il sentiero nel bosco”. La Torino sommersa dei La Moncada è piena di insidie, ma assolutamente intrigante, dunque degna di essere esplorata.
Autore: Vittorio Lannutti