I tipi della Strut hanno lucidato a dovere una serie di 12” e altre rarità del catalogo Factory Records, consegnandole poi al curatore Bill Brewster di www.djhistory.com con l’intento di documentare quella produzione dell’etichetta di Manchester maggiormente orientata alla pista da ballo.
Dance music sì, ma così come la potevano intendere i Section 25 (i rugginosi ingranaggi post-punk azionati dai riti tribali di “Looking from a hilltop” e “Dirty disco”), i Biting Tongues (il rotolare selvaggio di “Boss Toyota trouble”) o i Blurt (le contorsioni viscerali di “Puppeteer”).
E se certo in scaletta non potevano mancare i nomi dei New Order e dei Durutti Culumn, il grande merito di questa doppia raccolta è soprattutto quello di fotografare un’intera generazione di famelici musicisti inglesi che azzannò, disossò e fagocitò i ritmi “neri” del funk (gli A Certain Ratio su tutti), del dub (la sigla X-o-dus prodotta dal guru Dennis Bovell) e del jazz (quello decomposto di “You’ve got me beat” e quello sulfureo su linee gommose di basso di “Little voices”, entrambi a firma Swamp Children), facendo proprio all’occorrenza lo spirito creativo della New York mutante della ZE Records (i Quando Quango e i 52nd Street sono parenti stretti, rispettivamente, dei Was (not Was) e di Cristina).
Un pezzo di storia, per una compilation semplicemente fondamentale.
Autore: Guido Gambacorta