C’è chi crede che l’evoluzione musicale sia strettamente legata a quella tecnologica e chi, al contrario, vede nella tradizione cantautorale un buon punto di partenza.
Nelle sue quattro precedenti produzioni, la statunitense Jolie Holland ha sempre mostrato di essere un’artista “roots-oriented”, facendo emergere, di volta in volta, influenze country, folk, blues, jazz, che andavano a formare un coacervo dal piglio, comunque, moderno. Pure in questa sua nuova fatica, “Pint Of Blood”, la songwriter texana non si discosta dal sound che l’ha fatta conoscere. Mancando, quindi, l’effetto novità, è sulla qualità intrinseca delle sue composizioni che bisogna concentrarsi.
Nei quasi trentotto minuti dell’album, emerge un tono introspettivo che, dopo ripetuti ascolti, non manca di farsi apprezzare. Non è, però, tutto oro ciò che luccica. La pregevole idea di registrare il tutto presso lo studio casalingo della Holland e la preziosa mano, in sede produttiva, di Shahzad Ismaily (già all’opera, tra gli altri, con Lou Reed e Tom Waits), hanno sicuramente dato il giusto “mood” al disco.
Ciò che, a tratti, manca, è la presenza di quella manciata di brani che possano elevarsi sopra la media, rendendo il tutto unico nel suo genere. Un poco come a scuola, quando ad un’interrogazione si prendeva una sufficienza stiracchiata pur potendo, potenzialmente, puntare a ben altri voti.
Autore: Luca M. Assante