Chi ha espresso un concetto del genere non ha assolutamente ascoltato il nuovo disco degli Autokratz.
Con “Self Help For Beginners” abbiamo tra le mani l’ennesima prova che certe sensazioni sono in grado di vivere e sopravvivere anche tra i suoni metallici ed artificiali di un computer.
L’opera seconda degli inglesi Autokratz diventa già dal primo ascolto una delle pubblicazioni più interessanti dell’anno nell’ambito elettronico.
In poco più di 50 minuti di album, il duo mette in pratica le lezioni impartite dagli ultimi vent’anni di New Wave senza mai cadere in banali errori di plagio come vorrebbe da copione la loro forte ammirazione per quei suoni maliconici con cui Bernard Summer ha cresciuto un’intera generazione di inguaribili romantici postindustriali.
In “Self Help For Beginners” incontriamo mondi contrapposti che vivono in perfetta armonia ed equilibrio, che danno quasi l’idea di assestarsi a vicenda.
Dopo un primo album super chiacchierato (Animal, 2009) e una lista infinita di remix d’eccellenza (Underworld e Fischerspooner tra gli altri), David Cox e Russel Crank hanno avvertito l’esigenza di mostrare la vera anima del gruppo. Che a quanto pare vive di contrasti e intrecci originali.
Sul filo del rasoio tra la classe e la soglia d’accettabilità del tamarro, la ricetta del successo degli Autokratz sta nei suoni aggressivi e potenti che ricordano a tratti quelli dell’ebm tedesca e ai barocchi riff interstellari riconducibilissimi ai primi Chemical Brothers che si sposano alla perfezione con la languida voce di Cox.
Un successo discografico che può essere inizialmente associato alle “intrusioni stellari” che riserva quest’album (“Becoming of the Wrath” con l’inconfondibile basso di Peter Hook e “Kick” con Andrew Innes, chitarrista dei Primal Scream), ma che dopo un’attenta analisi rivela il valore intrinseco degi altri pezzi contenuti nell’album.
Infatti ascoltando “Self Help For Beginners” trapela la necessità di colpire nel segno, anche senza l’ausilio di guest musicali: basta ascoltare pezzi come “Fireflies”, “The Seventh Seal” o “Skin Machine” per rendersene conto.
Synth, bass e voce si amalgamano perfettamente nel corso delle tredici tracce, dando vita ad un brioso altalenare tra techno e un piacevole pop da classifica.
Il secondo lavoro degli Autokratz è un disco electropop confezionato alla perfezione che si adegua ad un pubblico di massa senza deludere le aspettative dei clubber.
E’ difficile rimanere in piedi quando si ha di fronte un pubblico tanto eterogeneo quanto capriccioso. Ma certe cose dovrebbero venir prese così come vengono. Perchè vengono veramente bene.
Autore: Kei Alfano